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Il Vaticano contro Scalfari

Eugenio Scalfari

Barbapapà: "Il Papa ha abolito il peccato". La Santa Sede: "Con certe cose non è a suo agio". Ma lui controreplica e difende l'indifendibile

Andrea Tempestini
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Dategli uno zuccotto color porpora. Qualcosa con cui quietarlo, perché la smania per aver perso il seggio di senatore a vita sta producendo danni gravi. Non pago di aver dato lezioni al Papa ridefinendo la dottrina cattolica in tema di coscienza e peccato, di aver difeso con la supercazzola dell'«imprecisione lessicale» lo sfondone della «canonizzazione di Ignazio di Loyola» a opera di Bergoglio, ieri Eugenio Scalfari si è sostituito al portavoce della Santa Sede spiegando a Federico Lombardi la reale interpretazione del magistero di Francesco. La situazione è imbarazzante perché in ballo non c'è un pirla ma un genio del giornalismo. I fatti. Domenica il lungo editoriale di Scalfari su Repubblica spiegava che Bergoglio avrebbe «di fatto abolito il peccato». Un'enormità, più grossa forse dei virgolettati spericolatamente attribuiti al Papa nel sorprendente colloquio pubblicato il primo ottobre sempre sul quotidiano diretto da Ezio Mauro, da cui la Santa Sede prese molto garbatamente le distanze rimuovendo il testo dal sito web del Vaticano. Sempre nell'articolo del 29 dicembre il Fondatore scrive che Bergoglio «talvolta contraddice i dogmi» e che avrebbe reso santo Ignazio. Qui inizia una querelle che ha del comico. Nel giro di poche ore l'ex direttore viene abbondantemente perculato da mezzo mondo, guidato da un pimpante Giuliano Ferrara su Twitter («Complimenti a Papa Eugenio, storico e teologo»). Lui non fa una piega e, nel pomeriggio di domenica, aggiunge nove righe in calce all'edizione online del suo pezzo: «Alcuni lettori mi imputano un errore laddove nel mio articolo di oggi ho scritto che Papa Francesco ha canonizzato Ignazio di Loyola. Ho probabilmente usato male il verbo “canonizzare” che significa promuovere la santificazione. Ignazio in realtà fu fatto santo su iniziativa di Papa Gregorio XV nel 1622. Usando quella parola volevo segnalare che Papa Francesco ha sottolineato l'importanza del fondatore della Compagnia di Gesù rendendo in tal modo ancor più marcato il connubio tra la sua venerazione di Sant'Ignazio e la scelta di Francesco d'Assisi che rappresentò una concezione completamente diversa della Chiesa. Mi scuso con i lettori per l'imprecisione lessicale». Il rumore di unghie sui vetri è assordante, perché l'inciso «pochi giorni fa» nella frase incriminata cancella la possibilità di un riferimento generico all'importanza attribuita al fondatore dei Gesuiti. Il lunedì non comincia meglio. Padre Lombardi, portavoce del Papa, non può non esimersi dal far presente con un'intervista a Radio Vaticana che l'affermazione sul peccato «non è pertinente», né dal notare come la riflessione scalfariana «non si trovi sempre a suo agio in campo biblico-teologico». Felpato ma spietato, Lombardi cita pure l'«inesattezza evidente» su Ignazio. Ma Scalfari ormai è lanciato a fari spenti nella notte. Nel pomeriggio di ieri pubblica sul sito una risposta in cui invita Lombardi a rileggersi l'editoriale di domenica e ribadisce una tesi che resta oscura: siccome il Papa pone l'accento sul libero arbitrio, allora il peccato non c'è. La Santa Sede esercita la consolidata pietà per il peccatore, e si ferma. Anche perché, ad averne meno, si dovrebbe ricordare che Scalfari nel 2007 scrisse sull'Espresso che il libro del filosofo francese Jean Luc Marion (allora appena tradotto in Italia) aveva una «parte sostanziosa dedicata a una delle encicliche di Papa Ratzinger». Peccato che il testo originale fosse del 2003, quando l'allora cardinale non poteva firmare encicliche. Del tedesco, poi, Scalfari scrisse (2012) che «non è un grande Papa, anche se l'ingegno e la dottrina non gli mancano: scrive bene, questo sì», ma è «lezioso». E poi ha «riesumato in pieno la tomistica di Tommaso d'Aquino con tanti saluti ad Origene, Anselmo d'Aosta e Bernardo». Tutti e tre - questi ultimi - ampiamente citati e oggetto di quattro diverse udienze generali a essi dedicate. Solo l'impeto missionario di Papa Bergoglio ha impedito che le frasi a lui attribuite da Scalfari («Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce») non provocassero una smentita secca. Ieri in molti si saranno chiesti se, alla luce di quel che è successo nelle ultime settimane, Francesco avrebbe concesso la stessa confidenza al Fondatore. Poco importa. Scalfari teorizza e applica da decenni un relativismo politico e ideologico sfrontato, pronto a danzare su tesi e antitesi per menare le danze della politica e della società. È, come ha scritto Giampaolo Pansa, «un primo della classe geniale, testardo, autoritario, con un'autostima enorme, convinto di avere sempre ragione al punto di non sopportare chi si azzarda a mettere in dubbio la sua assoluta perspicacia. E quando commette un errore, e sbaglia una previsione, come è accaduto in più di un caso, rimuove tutto senza spiegare nulla. La stessa marmorea noncuranza mostra nel piegare i fatti, e la loro memoria, a vantaggio di se stesso». Proprio per rispetto del successo di quel giornalismo figlio di un «libertinaggio intelligente» (ancora Pansa) e del suo formidabile interprete, è il caso di dire che oggi, nella pretesa di modellare una Chiesa e un Papa come li vorrebbe, quel libertinaggio ha perso l'aggettivo, e assomiglia molto a una ostinata difesa di puttanate. di Martino Cervo

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