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Carlo De Benedetti, gli affari d'oro sulle spalle di Calvi dopo il crac del Banco Ambrosiano

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E' una partita trentennale quella tra Silvio Berlusconi e Carlo De Benedetti. Le parole dell'ingegnere contro l'ex premier "è un imbroglione" commentando il ricovero del Cavaliere per Covid 19 hanno alzato un polverone. E Il Giornale, quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi, ricostruisce gli anni di De Benedetti al Banco Ambrosiano e "gli affari d'oro della famiglia".

Scrive il Giornale:  "L'espressione più colorita, ma forse più efficace, l'ebbe Orazio Bagnasco, destinato a prendere il posto di Carlo De Benedetti nel vertice del Banco Ambrosiano, raccontando ai giudici le confidenze di Francesco Micheli, finanziere di fiducia dell'Ingegnere: 'Proprio siffatte informazioni avevano consentito al De Benedetti di iugulare il Calvi al momento di concordare le modalità di uscita dal Banco'. Iugulare: un verbo che nel dizionario non c'è. Ma che racconta bene l'approccio che la sentenza del 16 aprile 1992 del tribunale di Milano attribuisce a Carlo De Benedetti, ex editore di Repubblica e oggi di Domani (...) La sentenza che riporta la testimonianza di Bagnasco è l'atto più illuminante e riassuntivo della carriera giudiziaria di De Benedetti. È la sentenza di primo grado per lo scandalo del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, il più fosco tra gli scandali bancari italiani".

 


Poi l'articolo si sofferma sulle  270 pagine dedicate a De Benedetti delle motivazioni della sentenza di primo grado, scritte dal giudice Pietro Gamacchio. "Dentro, ci sono prologo ed epilogo dei tre mesi cruciali della vicenda: tra il 16 novembre 1981, quando la Cir (la holding dell'Ingegnere) compra un milione di azioni del Banco e De Benedetti ne diventa vicepresidente, e la fine del gennaio successivo, quando se ne va con una 'liquidazione dorata' (testuale nella sentenza). Gli vengono ricomprate tutte le azioni, anche quelle che non ha mai pagato, insieme al prezzo d'acquisto gli vengono versati gli interessi, e la banca si impegna a vendere al suo posto 32 miliardi di azioni di una finanziaria. Un salasso, per i conti dell'Ambrosiano prossimo al collasso.

Dietro, per i giudici, c'è una storia semplice: De Benedetti entra nell'Ambrosiano sapendo benissimo degli affari sporchi della banca, e punta ad approfittarne per cacciare Calvi e prendere il suo posto (...) Ma quando Calvi contrattacca e gli chiude la strada, De Benedetti pretende soldi in cambio del suo silenzio. In cambio dei segreti sui rapporti con lo Ior del Vaticano che non ha reso noti né al consiglio d'amministrazione né alla Banca d'Italia. E c'è un altro aspetto della sentenza che illumina ancora di più il modus operandi che ha fatto grande De Benedetti: il rapporto d'acciaio con il potere politico, la contiguità con lo Stato.

Ad aprirgli la strada verso l'Ambrosiano è Bruno Visentini, che prima di diventare presidente della Olivetti è stato ministro della Finanze. Quando va in Vaticano a parlare dello Ior col cardinal Silvestrini, ci va insieme al ministro dell'Interno, Virginio Rognoni. E quando Calvi gli fa arrivare una letteraccia anonima, lui invece che al commissariato di zona la porta al Quirinale, a Pertini. A uno così, come potrebbero andar male gli affari?

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