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Michele Santoro, retroscena: perché vuole scendere in campo con Conte

Francesco Specchia
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Due sono le passioni che, da sempre, infiammano il vecchio animo trotzkista di Michele Santoro: la tv e la politica. Sono fuochi perpetui e per nulla fatui. Per lui sono come l'alta società di Wilde: farne parte è una gran noia, me rimanerne fuori una tragedia. Nulla di male, per carità. Ognuno ha le sue ossessioni. Sarà per questo - perché da anni vagola senza tv né politica - che Michele, attizzato da Salvatore Merlo sul Foglio, disvela oggi le nuove ambizioni: «Da osservatore penso che manchi la sinistra in Italia, e non è un mistero. Ma non ho intenzione di sfruttare la mia popolarità per un blitz elettorale che non va da nessuna parte, ho una storia. E la tutelo». «Però?», chiede Merlo. «Però se Giuseppe Conte decidesse di fare politica, e non tattica, se lasciasse il governo di Mario Draghi per mettersi in gioco a sinistra e rischiare... allora sarei anche disposto a dare una mano». Dare una mano. A rifondare la sinistra. Con Conte. Cioè, se ho ben capito: un Santoro versione Melenchon si propone di metter su un partito con i rimasugli del grillismo; e come alternativa sinistrissima a Letta, e non assieme a Marco Rizzo, o a Bertinotti, o - chessò - a Carola Rackete. No. Assieme a Conte. A Conte. A uno che, all'università, potrebbe tranquillamente insegnare doroteismo invece che diritto privato. Cioè: Michele fa il grillino proprio quando il grillismo sta esalando il suo ultimo respiro (una prece). Ohibò.

 

 

È interessante questo manifesto santoriano sul Foglio. Taglia ogni possibilità di "campo largo" col Pd; esclude qualsivoglia contatto con questo governo evidentemente - per Santoro, meno per Conte - guerrafondaio e schiavo delle multinazionali; intravede nel pacifismo un cavallo di Troia per entrare nel Palazzo. Insiste Michele, suggerendo a Conte (ma in realtà, cazziandolo): «Volesse provare a fare politica, allora, lo ripeto, la prima cosa da fare sarebbe liberarsi dall'incubo della variante Grillo. Mettersela alle spalle. Chiudere con il grande comico inafferrabile, che a volte emerge dall'ombra per poi reimmergersi a seconda dei suoi sbalzi umorali. Questo periodo va chiuso.  Altrimenti non si va avanti. La seconda cosa da fare sarebbe poi quella di uscire da questa coalizione di governo, perché è la condizione necessaria per poter svolgere un ruolo politico importante anche sulla questione della guerra».

 


Poco conta che Santoro fu uno dei grandi sponsor di Beppe Grillo. Poi, sulla questione guerra, appunto, l'anchorman aggiunge: «Si può ricostruire un'offerta politica a sinistra. Ma Conte deve d i mostrare che ci crede veramente. Non come ha fatto con la risoluzione sull'invio delle armi». È un manifesto, codesto, che ai più dotti potrebbe evocare quello dell'Internazionale situazionista a Cosio di Arroscia nel 1957: un bombardamento della sinistra tradizionale, uno spruzzo di Dada, uno di surrealismo, uno di costruttivismo russo (più putiniano, direi). Per gli esegeti più raffinati si profilerebbe, dunque, una nuova proposta che Michele, peraltro, aveva già anticipato. È ancora vivo il ricordo del 3 maggio scorso, quando il tribuno organizzò al teatro Ghione di Roma una manifestazione con il vecchio reggimento di compagni senza patria politica e televisiva, da Vendola a Freccero, alla Guzzanti, alla Commissione Dubbio e Precauzione; laddove sollecitava le masse contro «il pensiero unico» e le carneficine degli ucraini contro i russi (e non viceversa, curiosamente). E prima ancora, a gennaio, si era profilato perfino un grande ritorno di Michele e della sua ingombrante personalità a La7, nei salotti di Enrico Mentana il quale magari - conoscendolo - poco avrà gradito questi colpi di teatro. Il progetto di un nuovo soggetto politico santoriano, di una rivoluzione culturale, è sicuramente alle porte.

 

 

Questa è, almeno, l'opinione dei più intellettuali. Poi c'è l'opinione dei meno elevati, come noi. I meno elevati ricordano che, a fronte di un insuperato talento televisivo, l'unica volta che Santoro fece politica attiva, nel 2004, come europarlamentare con la lista Uniti nell'Ulivo, be', non andò benissimo. Noia, assenteismo, un pugno di striminzite risoluzioni sullo stoccaggio dei rifiuti o sulla libertà d'informazione (in particolare sul sequestro dei siti europei di Indymedia, rete di comunicazione per sostenere i no global). Robe così. Santoro prese così a cuore la sua missione da dare le dimissioni da Strasburgo per andare ospite al programma RockPolitik di Celentano.  Allora il Corriere della Sera commentò: «Nel Parlamento europeo si sono imposti, tra gli italiani, due modelli: quello incarnato da Emma Bonino e quello da ieri fragorosamente rappresentato da Michele Santoro. Il primo modello esprime la dedizione alle istituzioni europee, l'impegno totalizzante e duraturo della Bonino per una causa, quella dei diritti umani nel mondo, che dell'Europa dovrebbe essere la nobile carta di identità. Il secondo schema prevede l'uso del Parlamento di Strasburgo come parcheggio delle personalità politiche in attesa di nuovi incarichi in Patria». Diciamo che i precedenti, per Michele, non aiutano. Sul serio, oggi, abbiamo bisogno di un Santoro marxista fuori sincrono? Ne ha bisogno la sinistra mondiale? Ne ha bisogno Conte? Soprattutto, ne ha bisogno Santoro?...

 

 

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