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Generale Vannacci, la moglie confessa: "Non ho letto il libro, ma dietro ci sono io"

Hoara Borselli
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«Il libro di mio marito probabilmente non cambierà il mondo ma dal mio punto di vista sicuramente ha risvegliato qualche coscienza». Queste le parole che Camelia Mihãilescu, moglie del Generale Vannacci, ha consegnato in esclusiva a Libero. 

Camelia, lei ha deciso di rompere il silenzio e attraverso i suoi profili social si è esposta nel dichiararsi totalmente concorde con i contenuti trattati nel libro scritto da suo marito. Condivide davvero tutto?
«Partiamo dal fatto che io non ho letto il suo libro (ride, ndr). Strano no?».

Beh direi di sì. Come si fa a condividere un qualcosa che non si è letto?
«La nostra estate è stata molto movimentata. Un po’ per l’uscita del libro e quello che ha suscitato e poi per motivi familiari visto che mia suocera è stata molto male. Solitamente leggo 4 o 5 libri. Quest’estate ne sono riuscita a leggere solo uno e mezzo e non era quello di mio marito. Però mi sono ripromessa di leggerlo quanto prima».

Mi perdoni se insisto. Il libro non l’ha letto. Ha avuto però modo di conoscerne i contenuti tramite suo marito, o si è lasciata andare a commenti di condivisione solo per il sentimento che vi lega?
«Io conosco il contenuto del libro perché Roberto spesso mi chiamava leggendomi paragrafi e chiedendomi pareri su alcune cose che avrebbe scritto».

Bene, questo ci rincuora. Quindi lei sottoscrive ogni argomento trattato da suo marito nel libro e non dissente su nulla?
«Io condivido tutto, ogni singola parola e ogni singolo concetto espresso nel libro. Io sono stata cresciuta in una famiglia tradizionale come Roberto e anche se noi siamo due persone completamente diverse abbiamo gli stessi identici valori: la famiglia , il rispetto l’educazione, il buon senso e il coraggio».

A proposito di coraggio, lei in un suo post Facebook ha scritto questo: “In un mondo pieno di ipocrisia e politicamente corretto, è un’eresia avere opinioni personali e avere la capacità il coraggio di assumerle e sostenerle”.
«Sì, ho scritto questo perché sono convinta che in questa società per dire cose definite “scomode” ci voglia molto coraggio e se le dici vieni emarginato, guardato male».

Nel vostro caso, in quello di suo marito, dire cose scomode non vi ha molto penalizzato, visto il successo di vendite del libro. Lei come se lo spiega?
«Questo è sicuramente un libro diverso da tutti gli altri e probabilmente Roberto è stata la prima persona a scrivere cose che pensiamo quasi tutti ma nessuno ha avuto il coraggio o l’idea di metterle nero su bianco».

Ci racconta com’è nata l’idea del libro?
«Ricordo perfettamente che ad un certo punto Roberto ha palesato un suo disagio interiore. Diceva che non si ritrovava in questa società. Troppe cose stavano cambiando in peggio e aveva deciso di scrivere questi suoi pensieri e le sue idee. Io quando stavo in Romania, prima di venire in Italia all’età di 33 anni lavoravo in una casa editrice e l’ho sempre incoraggiato a scrivere».

Quindi possiamo dire che dietro il libro di suo marito c’è una forte spinta sua...
«Io gli avevo consigliato di scrivere un libro autobiografico perché ritenevo che lui avesse cose interessanti da raccontare, vissute nei teatri di guerra dove svolgeva il suo lavoro. Lui ha però preferito iniziare a buttare giù sensazioni derivanti dal disagio che stava provando rispetto al cambiamento della società che vedeva intorno a lui. E da lì è nato il libro. Pensavamo di vendere due o trecento copie al massimo». 

Suo marito è stato molto criticato rispetto alla frase gli omosessuali “non sono normali” che gli è costata l’etichetta di omofobo. Lei rispetto a queste parole e questo tema come si pone? 
«Le rispondo raccontandole questo episodio. Quando dalla Romania sono venuta in Italia, per divertimento ho iniziato un corso di taglio e cucito. Frequentando questo corso ho conosciuto un ragazzo omosessuale di cui sono diventata molto amica. È stato colui che quando mi sono sposata in chiesa in Italia con Roberto, non volendo il classico vestito tradizionale, lo ha realizzato. E non solo quello, anche il papillon di Roberto. Questo per dire che non abbiamo alcun pregiudizio nei confronti degli omosessuali». 

Lei è d’accordo sull’adozione dei bambini da parte di coppia omosessuali?
«Io sono per la famiglia tradizionale. Credo che un bambino debba crescere con l’esempio di una madre e di un padre. A me dà parecchio fastidio quando mi arrivano degli avvisi della scuola che riportano la dicitura genitore uno genitore due. Io non sono genitore uno, io sono la mamma e Roberto non è genitore due ma il papà». 

Qual è il lato del carattere che ama più di Roberto? 
«La capacità e il coraggio di sostenere le sue convinzioni e portarle avanti».

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