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D'Orsi, quel prof sbaglia sulla Russia. E chi lo censura di più

Si è generata una polemica a proposito di una conferenza torinese dello storico D’Orsi, tenace sostenitore delle posizioni pro-Mosca
di Daniele Capezzonevenerdì 14 novembre 2025
D'Orsi, quel prof sbaglia sulla Russia. E chi lo censura di più

3' di lettura

Aderisco volentieri a quello che chiamerò “lodo Mieli”: lo faccio non solo senza alcuna difficoltà, ma con piacere e convinzione. Di che si tratta? Ieri mattina, nel corso del suo colloquio radiofonico con Simone Spetia a Radio 24, Paolo Mieli, citando il commento di Massimo Sanvito pubblicato su Libero nel quale si evocavano le ennesime minacce dei collettivi rossi all’Università La Sapienza, ha suggerito una formula di buon senso: «Mi piacerebbe - ha detto l’ex direttore del Corriere - vedere Libero che si battesse per vedere il professor D’Orsi a Torino ed il Fatto Quotidiano che si battesse per far parlare Capezzone e Parenzo a Roma».

Per quanto mi riguarda, e soprattutto per quanto questo giornale ha scritto in tutti questi mesi, si tratta di qualcosa di naturale, di fisiologico, starei per dire di scontato in un’ottica liberale. Come si sa, si è generata una polemica a proposito di una conferenza torinese dello storico D’Orsi, tenace sostenitore delle posizioni pro-russe. Per quanto mi riguarda, non condivido nemmeno una virgola delle opinioni di D’Orsi, e ho buone ragioni per ritenere che questa valutazione sia da lui ricambiatissima (il che rassicura entrambi, mi permetto di sorridere). Cionondimeno, non mi passerebbe nemmeno per l’anticamera del cervello di impedire a D’Orsi o a chiunque altro di dire la sua.

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Lo riterrei due volte sbagliato: in teoria, perché si tratterebbe di una scelta illiberale; in pratica, perché offrirebbe una patente di martirio a chi non la merita affatto. Il nostro giornale - a più riprese - ha stigmatizzato i tentativi di impedire, che so, a musicisti o direttori d’orchestra russi di esibirsi in Italia. Non so e nemmeno mi interessa se si trattasse semplicemente di artisti russi o di propagandisti putiniani: ma perfino nel secondo caso, quindi in presenza di tesi odiose e per me da respingere, saremmo venuti meno al principio fondamentale del “free speech” se avessimo mosso un dito per impedire a qualcuno di dire la sua. Di più: personalmente, sono anche direttamente disponibile al confronto con qualunque tesi, a partire dalla più lontana. Raramente, a onor del vero, mi è capitato di poter constatare il viceversa.

E allora resta spazio solo per una nota ulteriore, che non cambia in nulla il punto di principio (e cioè che tutti possano parlare, e che dunque tutti parlino). Sarebbe tuttavia curioso se i sostenitori della linea che per comodità chiamerò filo-Putin raccontassero, nell’Italia del 2025, di essere censurati. Ogni sera, a reti pressoché unificate, in tutti i maggiori dibattiti televisivi, non solo quella posizione è largamente rappresentata, ma molto spesso è l’unica posizione in campo, o comunque quella a cui è garantita assoluta centralità nella discussione. Parlino, dunque, come fanno regolarmente (e ciò è assolutamente ragionevole), ma non raccontino di essere sacrificati o ostracizzati.

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Ben altra - spostandoci sul versante del recente conflitto in Medio Oriente - è la condizione di chi sostiene le ragioni che, anche qui per comodità, definirò “pro Israele”. Nell’Italia radiotelevisiva, a stare larghi, saranno (saremo) non più di cinque persone a farlo con vigore: in molti casi assenti dalle convocazioni tv, in altri casi isolati, o comunque in costante minoranza numerica e in condizione di assedio perenne negli studi televisivi. Nessun lamento, esercizio che detesto: ma una semplice descrizione di ciò che accade.

In molti casi, peraltro, l’assedio è diventato fisico: due anni fa per me proprio alla Sapienza, poi in altre occasioni per David Parenzo e Maurizio Molinari, da ultimo contro Emanuele Fiano. E adesso alla Sapienza, un’altra volta, con il preannuncio di una mobilitazione contro di me e contro Parenzo. Per inciso: sempre da sinistra, mai da destra. Tanto per ricordare chi siano, nell’Italia di oggi, i nemici della libertà. 

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