La prevalenza della salamella è un lontano ricordo: la Festa de l’Unità esiste ancora, ma chi se la fila? Se ne parla giusto per le fughe dei militanti, per le sedie vuote, per la traslucida malinconia del tempo che fu e certo anche per la salamella, non più prevalente bensì ridotta a unico emblema che ancora resiste (estremismi vegetariani permettendo: nell’universo-Pd abbiamo assistito ai suicidi di feste senza carne o con il sushi invece della salamella).
Il punto è che oggi la festa di partito è Atreju, punto e stop. Questione di consenso - la prevalenza di FdI sul Pd - e questione di sostanza: l’evento funziona, si pone per natura al centro del dibattito, poi ci si mettono le Schlein (il riferimento è all’harakiri della segretaria - vengo solo se c’è Giorgia - e alla brutta figura che ha rimediato). Scontato, dunque, il fegato spappolato del progressista nostalgico: bei tempi andati quelli in cui la Festa de l’Unità era l’Atreju d’oggidì. Eppure c’è modo e modo di rosicare. C'è una nostalgia sana, lucida. E poi c’è Massimo Giannini, la cui nostalgia è un livoroso rosicare.
La penna di Repubblica, obnubilata dal continuo menar fendenti contro «le destre», raccoglie l’assist di Giovanni Floris e si lascia andare a riflessioni zoppicanti sulla kermesse. Siamo a DiMartedì, il think-tank antimeloniano del martedì sera su La7. Giannini spiega: «Atreju nasce come raduno di una setta, perché questo erano prima che arrivassero al governo. Vecchi epigoni del Msi che avevano ancora l’ideale, la Fiamma, una cultura un po’ pagana della politica». I riferimenti di Giannini sono alla Atreju delle origini (la prima edizione nel 1998), di fatto ridotta a un raduno eversivo di invasati il cui «paganesimo» si concretizzava nel culto semi-clandestino della Fiamma. Ma oggi, riprende, «tutto questo è dimenticato. Adesso, Atreju è il festival di Sanremo, dove dentro puoi trovare nani, ballerine, cantanti, Raoul Bova e Mara Venier, politici più o meno di tutti i colori». Insomma dall’eversione all’avanspettacolo. Alla pagliacciata.
Le ragioni della sterzata? «Celebrano il successo, il trionfo oggettivo della Meloni», riprende Giannini. «La sua vittoria politica è stata un capolavoro, in 10 anni è passata dal 2 al 27% e al governo del Paese. Quindi c'è la consacrazione di una classe dirigente arrivata al potere contro tutto e contro tutti che oggi si autocelebra. In un modo, appunto, nazional-popolare come il Festival di Sanremo».
DiMartedì, Giannini insulta FdI: "Atreju? Il raduno di una setta. E poi..."
C’è un Massimo Giannini critico con il governo (e questa non è una novità), ma anche obiettiv...Atreju come un soggetto autoreferenziale che in altri tempi e ad altre latitudini sarebbe stato perfetto per l’obiettivo di Leni Riefensthal. Atreju come la sguaiata (auto)celebrazione della presa di potere («Vieni da un partito neofascista, ai tempi del Msi si diceva tornate nelle fogne», aggiunge Giannini sempre a DiMartedì. Frase utile per comprendere l’essenza del pregiudizio). Il punto è che l’ipotesi che Atreju sia una festa di partito, un luogo di incontro, un palco per il dibattito non viene neppure presa in considerazione: l’unica cifra descrittiva è quella del disprezzo, più o meno latente.
Infine, ci permettiamo una breve considerazione. La introduciamo con un elenco di nomi e cognomi che, vi assicuriamo, potrebbe essere molto più esteso. Gaber; 99 Posse; Daniele Silvestri; Lucio Dalla; Guccini; Modena City Ramblers; Brunori Sas; Bisio; Elio Germano; Silvio Orando; Dario Fo e Franca Rame; Cortellesi; Baricco e Benni; Fabio Fazio; Pif; David Parenzo; Geppi Cucciari e Serena Dandini; Paolo Rossi; Sabina e Corrado Guzzanti; Maccio Capatonda; Antonio Albanese; Elio e le Storie Tese; Lella Costa; Maurizio Crozza. Guarda un po’, negli anni tutti hanno partecipato alla Festa de L'Unità. Ma loro secondo Giannini - e su questo concordiamo - non sono ascrivibili alla macrocategoria di «nani e ballerine». Non era Sanremo, era una festa di partito.




