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Bologna, i prof boicottano Israele

Claudia Osmetti
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Forse qualcuno dovrebbe spiegare ai 143 professori di Bologna che Israele non è un «regime di apartheid» e che il pogrom del 7 ottobre da parte dei jihadisti di Hamas non è stato in alcun modo una «rappresaglia impensabile ma anche annunciata» per via della «delegittimazione dell’Autorità nazionale palestinese» (che tra l’altro sta a Ramallah e non a Gaza). Forse qualcuno dovrebbe spiegare ai 143 professori di Bologna che con la mattanza di tre settimane fa, i bimbi di qualche mese fatti bruciare nei forni di casa e le donne incinta sventrate e la caccia all’ebreo casa per casa modello Kristallnacht, «l’occupazione israeliana dei territori attribuiti dall’Onu al popolo palestinese» c’entra un fico.

Forse qualcuno dovrebbe spiegare ai 143 professori di Bologna che domandano, con una “petizione” la «fine immediata della guerra contro Gaza», che quella richiesta andrebbe indirizzata ad Hamas e non a Gerusalemme, che è stato Hamas a cominciare l’eccidio, che è Hamas che tiene i civili nelle case e attorno ai tunnel, a mo’ di scudi umani, che è sempre Hamas che, giusto ieri, ribadiva: «Ripeteremo le azioni del 7 ottobre ancora e ancora finché Israele non sarà distrutto». Invece tacciono tutti e si levano poche voci di sdegno.

 

 

Nell’Alma Mater di Bologna, la stessa, nella quale, giusto un paio di mesi fa, si è laureato Patrick Zaki e non è il caso di riprendere qui le sue dichiarazioni sul conflitto in Medioriente, che ce le ricordiamo tutti e tanto basta, 143 professori su un corpo docenti di 3.122 (che è all’incirca il 5% del totale, come fa notare, esterrefatto, il politologo Gianfranco Pasquino) prendono carta e penna e chiedono all’università di sposare senza se e senza ma il sostegno al «cessate il fuoco immediato» e di adottare, in sede di Senato accademico, una «risoluzione di solidarietà con la popolazione di Gaza in primis e con tutte le vittime civili» nonché «forme di pressione accademica e disinvestimento da società che finanziano l’occupazione (quella israeliana, s’intende: ndr), così come auspicato dalla società civile e dalle associazioni accademiche palestinesi». E in quelle paginette firmate dal chimico Vincenzo Balzani e dall’antropologo Ruba Salih (che è un italo-palestinese), oltre che da 141 loro colleghi, non c’è una condanna, non c’è neanche l’espressione “atto terroristico” in relazione all’eccidio di Hamas contro i kibbutz di Be’eri, di Ofakim e di Urim. C’è solo la solita, trita, ridondante retorica da propaganda che abbiamo già sentito nelle piazze e nei cortei di Milano e Torino e Roma.

 

 

La risposta di Israele all’attacco dei jihadisti è «schiacciante e brutale e continua senza il minimo rispetto del diritto internazionale» e i governi occidentali sono «appiattiti su posizioni di indifferenza o supporto incondizionato» e decidono di «bloccare risoluzioni diplomatiche efficaci o astenersi dal voto del 28 ottobre all’Assemblea generale dell’Onu su una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco» mentre «osserviamo sbigottiti i politici israeliani vantarsi delle atrocità in corso a Gaza e disumanizzare i palestinesi». Ecco, forse qualcuno dovrebbe spiegare ai 143 professori di Bologna che quella “petizione” è un guazzabuglio di luoghi comuni e slogan e mistificazioni di ciò che, in realtà, è successo e sta succedendo. E che la differenza è proprio che loro, qui, in Occidente, hanno la libertà persino di scrivere documenti pieni di inesattezze come questo, mentre altrove non potrebbero protestare neanche con un foglietto di carta. O forse basterebbe regalare ai 143 professori di Bologna un libro di Storia.

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