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Luigi Di Maio, dramma politico: delusi e voltagabbana pronti ad archiviarlo, ecco il loro piano

Davide Locano
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Le prime diapositive di un governo nato scolorito raccontano il dramma dei perdenti. Il prezzo per rimanere al timone è una rinuncia continua. E allora il risultato non può che essere un sorriso sforzato. Una curva che assomiglia ad un' inversione di marcia. Una manovra obbligata per evitare lo schianto del voto. Mentre echeggiano in sottofondo le parole dette e le promesse tradite. Sembra passato un secolo eppure sono trascorsi poco più di due mesi da quando l' allora vicepremier Luigi Di Maio assicurava che mai avrebbe fatto accordi con il "Partito Di Bibbiano". Erano i giorni in cui l' inchiesta Angeli e Demoni aveva scoperchiato il vaso degli affidi illeciti e scosso l'opinione pubblica. Leggi anche: Luigi Di Maio, lo strafalcione nella lettera d'addio ai collaboratori «Non voglio averci niente a che fare con il partito che in Emilia Romagna toglieva alle famiglie i bambini con l' elettroshock per venderseli», ripeteva Di Maio prima della "svolta" a sinistra. E lo faceva accompagnando ogni parola con ampi gesti, come a tracciare un limes invalicabile. Tutte frottole. Il capo politico non solo ha spalancato le braccia ad un «partito che difende privilegi e persegue interessi personali», ma gli ha persino lasciato il Ministero della Famiglia. INSULTI DIMENTICATI Che dire invece di Paola Taverna, la pasionara a cinque punte che ha fatto dell' invettiva contro il Pd un marchio di fabbrica? Arrivata alla seconda legislatura si sarà fatta due conti in tasca. Così la lunga carrellata di epiteti che negli ultimi anni hanno scandito il suo feroce eloquio anti-dem («mafiosi», «schifosi», «siete delle m***e», «dovete morire») è stata derubricata come un momento che appartiene al passato. Ma ai tempi andati dell' opposizione dura, il Pd era «il pericolo pubblico numero uno del Paese» anche per uno dei principali sponsor dell' operazione "salva poltrone": il presidente della Camera Roberto Fico. Uno che definiva il Pd «un partito distrutto e permeabile a qualsiasi infiltrazione». Tracce dell' incoerenza grillina riaffiorano di ora in ora dal web, come per contrappasso, esponendo chi le ha pronunciate alla gogna della base, affatto contenta dell' ultima metamorfosi di un partito che sembra ormai essersi rimangiato tutto quello che poteva. Ma nell' ormai ex Movimento di lotta c' è anche qualcuno che non sembra disposto a rinunciare alla faccia e si agita sottotraccia alla ricerca dei propri simili. Una piattaforma di portavoce dissidenti che rimane sommersa e difficile da perimetrare esiste, e s' interroga sul da farsi. Li chiamano «malpancisti» ma loro si definiscono semplicemente «coerenti». Il punto di raccordo di questi conciliaboli per divergenti è un consigliere alla Regione Lazio, Davide Barillari, uno dei pochi ad averci messo la faccia. Ci sarà anche lui oggi a Bologna, città che terrà a battesimo la prima riunione di quelli che dicono «no» all' inciucio. Si svolgerà con modalità carbonare, in una località segreta, per non attirare le attenzioni della stampa in un momento di incertezza. C' è riserbo anche su nomi e numeri. Notizie di questo appuntamento circolavano già dal mese di agosto nelle chat pentastellate che si sono moltiplicate all' indomani dell' apertura della crisi. LISTA TOP SECRET «C'è un parecchio fermento - racconta Barillari - e molti di noi aspettano l' incontro per decidere se rimanere come spina nel fianco o dimettersi». La prima linea è composta da amministratori comunali e regionali, increduli spettatori di decisioni prese dall' alto, ma nelle retrovie non mancano neppure i big che sentono sulle spalle la colpa di non aver fatto sentire il loro peso. L'ex ministro Danilo Toninelli, ad esempio, denuncia «l' incredibile attacco mediatico che ho ricevuto in questi mesi». «Ci sono mal di pancia anche tra i parlamentari, non tutti sono pronti a mandare giù il rospo», spiega Barillari. Figure di primo piano che rimangono sotto coperta, a differenza del senatore Gianluigi Paragone, del deputato Ignazio Corrao e degli europarlamentari Andrea Colletti e Piernicola Pedicini. «Nomi importanti che non stanno in pace con sé stessi», assicura il consigliere grillino. Tra loro potrebbero esserci anche quei nove senatori grillini pronti a passare con la Lega e a non votare la fiducia al Conte bis, come rivelato dal vicesegretario della Lega Andrea Crippa. Una pattuglia che potrebbe minare le sorti del voto di fiducia. «Ci sono state della frizioni, ma non puoi un spaccare un corpo liquido», sostiene una fonte di Libero molto vicina ad ambienti grillini. Come a dire che alla fine rientreranno tutti nel recinto, ma le acque rimarranno agitate. di Giulia Sbarbati

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