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Mario Draghi, "il lavoro...": la frase con cui si incastra da solo, gioco sporco contro gli italiani

Pietro Senaldi
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«Abbiamo già raggiunto 51 obiettivi, quindi il governo ha creato le condizioni perché il lavoro sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza continui indipendentemente da chi ci sarà a Palazzo Chigi». Così parlò Mario Draghi nella conferenza stampa di fine anno, il 22 dicembre scorso, quando nel suo cielo brillava come la stella polare la possibilità di traslocare al Quirinale e il premier si guadagnò qualche critica per aver lasciato intuire le proprie ambizioni extra-governative, autodefinendosi un «nonno al servizio delle istituzioni». Sette mesi dopo, malgrado al timone del Paese ci sia rimasto sempre l'ex governatore, la situazione deve essere veramente molto peggiorata se il Pd e i suoi satelliti, ai quali si è di recente ufficialmente aggiunto Di Maio, sostengono che, se Draghi confermasse le dimissioni, l'Europa non ci darebbe più un soldo e i mercati ci azzannerebbero. Se fosse vero, significherebbe che il premier quest' inverno, pur di aprirsi la via al Quirinale, non ce l'ha raccontata giusta; oppure che nell'ultimo periodo, sotto il suo comando, l'Italia è andata indietro anziché avanti. La terza opzione è la più probabile: i dem come al solito dicono un sacco di balle pur di non far votare gli italiani e, di conseguenza schiodare, liberare le poltrone che occupano da oltre dieci anni senza un chiaro mandato degli elettori. I mercati, la guerra, l'Europa, la siccità, l'inflazione, il Pnrr, tutto fa brodo pur di lasciare Super Mario dov' è, ma soprattutto per lasciarci il Pd, e poco importa se gli scenari peggiori per l'autunno erano previsti anche prima delle dimissioni del premier, quando si supponeva che "il migliore" sarebbe rimasto al timone del Paese.

 

 


LE RAGIONI DELLA SCELTA
Quel che conforta è che, nel prendere la propria decisione, se andare o ritornare, domani Draghi non terrà in conto la propaganda di dem e compagni. La scelta dipenderà dal bilanciamento tra le pressioni internazionali, che lo spingono a ritirare le dimissioni, e le valutazioni personali, che lo portano a chiudere. In ogni caso, alla fine dei sei giorni di congelamento che gli ha imposto Mattarella, la figura del premier risulterà molto distante da quella dei partiti; sicuramente Super Mario avrà fatto una figura migliore del Parlamento ma non è detto che tutti gli italiani comprenderanno il suo agire. Il presidente del Consiglio infatti fa ragionamenti alti. Se andrà via, lo farà da hombre vertical, perché non avrà accettato la soluzione all'italiana che la sinistra gli sta abborracciando, con una transumanza di grillini verso il Gruppo Misto o il nuovo partito di Di Maio, che pare fatto apposta, di modo che entro mercoledì potrebbero esserci più parlamentari di M5S fuori che dentro il partito di Conte.

 

 


I malpensanti però fanno ragionamenti ben più bassi. Se li numero di grillini in fuga fosse tale da garantire la maggioranza anche in caso di defezione della Lega, il premier, anche se l'avvocato foggiano portasse il Movimento fuori dall'ammucchiata di governo, non avrebbe più, per andarsene, la scusa del rischio di legare la sopravvivenza del suo esecutivo ai ricatti di una sola forza politica. Le serpi di cui l'Italia è piena sentenzierebbero quindi che Draghi non ha voluto rovinarsi il curriculum, preferendo abbandonare la barca prima che affondasse, perché, come detto, per ottobre è prevista una tempesta che nemmeno lui può evitare; oppure direbbero che si è voluto vendicare dei partiti che non hanno mantenuto la promessa di eleggerlo al Quirinale, la qual cosa ci starebbe anche, ma non è molto elegante.


SOLO UNA MESSINSCENA?
Se invece l'ex banchiere resterà a Palazzo Chigi, significa che avrà dovuto fare una retromarcia, contraddirsi, far vedere che, seppure per il bene del Paese, non ha una sola parola. Questo farebbe di lui un politico, e come tale soggetto alle leggi della politica, che sono ben diverse da quelle dei board internazionali ai quali è abituato. La sensazione che i malpensanti ne ricaverebbero sarebbe che il pokerista Draghi ha alzato la posta per reinsediarsi dove già stava, ma da una posizione di maggior potere, che gli consenta di dribblare la dialettica parlamentare. Qualcuno sosterrebbe che è stata una messinscena, per liberarsi di Conte, eliminare i grillini, che invece a parole sosteneva fossero indispensabili alla sua maggioranza, e mettere in riga la Lega. Un escamotage insomma per avere mani libere, almeno fino a quando i partiti gli consentirebbero di mantenerle, e governare per conto dell'Europa, dell'America, di Mattarella, dei mercati. Le maldicenze si sprecherebbero, perché le forzature hanno una vita limitata, come dimostra la stessa parabola di Draghi nell'ultimo anno e mezzo.

 

 


Non eleggerlo presidente della Repubblica, come gli era stato promesso più che paventato, ha portato alla crisi attuale, non per ritorsione del premier ma per corso naturale degli eventi. E ora, l'umiliazione dei partiti che avverrebbe con la reincoronazione di Super Mario porterebbe i leader, più prima che poi, a presentare il conto al premier. Visto che siamo nell'anno che precede le elezioni, la lista alla cassa sarà particolarmente salata ma una seconda sceneggiata come quella a cui stiamo assistendo in questi giorni non se la potrebbe permettere neppure il "migliore". 

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