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Meloni, profezia di Della Loggia: "Più odiata di Salvini. Ma se vince, nessun pericolo"

Pietro Senaldi
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«Questa campagna elettorale è un temporale estivo, si è abbattuta come un fulmine su una situazione politica confusa tra i partiti, sia al loro interno sia nei rispettivi schieramenti, e si consumerà tutto in pochissimo tempo. Quindi la regola è pensare poco, o nulla, e menare fendenti come se non ci fosse un domani. Il che poi non è molto diverso da quanto accaduto anche le volte scorse».

 

 

 

Forse questa volta c'è un pizzico di violenza propagandistica in più e anche i colpi che si sferrano sono sotto la cintola...
«Sì, i toni sono accesi. E la spiegazione è una sola: è la prima volta che in Italia può vincere una forza di destra come quella guidata dalla Meloni. C'è quindi una mobilitazione per evitare che questo accada da parte della sinistra».

Il tema dell'antifascismo può essere ancora vincente oggi nelle urne?
«Difficile dire quanto. Potrebbe anche produrre una reazione inversa, aumentando i voti di Fratelli d'Italia come risposta dei moderati all'allarmismo antifascista militante ostentato dalla sinistra».

Ma secondo lei la Meloni è fascista?
«No, questo non si può dire. Però certamente ha la colpa di non essere stata abbastanza dura verso alcuni ambienti di destra che in qualche modo possono ricordare il suo passato e di non aver eliminato personaggi che io ritengo impresentabili presenti tra i quadri del suo partito. Avrebbe inoltre potuto tutelare interessi diversi da quelli ultra-corporativi che ha difeso, tipo i concessionari delle spiagge, che sono tra i massimi evasori fiscali del Paese. Immagino che comunque da qui alle elezioni cercherà di farlo. Anzi, forse ha già iniziato, definendo "traditori della causa" coloro che hanno comportamenti che "consentono alla sinistra di descriverci come nostalgici da operetta".
Ma non credo che questo basti».

Sull'antifascismo la sinistra ci sta marciando?
«Il richiamo antifascista in Italia ha sempre una certa forza, perché il nostro elettorato è caratterizzato da una grande vischiosità ideologica. Non cambia abitudini e opinioni, basti pensare all'anti-americanismo rivitalizzato dal conflitto ucraino, figlio di decenni di propaganda, che in un modo o nell'altro è rimasto nell'inconscio collettivo dei cittadini, anche di quelli non di estrema sinistra odi estrema destra».

Quindi alla fine l'ossessione antifascista, per quanto d'antan, porta più di quanto toglie?
«È una carta della sinistra che conserva un certo valore di interdizione. Forse non procura nuovi voti, ma impedisce che una parte dei tuoi vadano all'avversario. E poi ha un grande vantaggio: focalizza un nemico e cancella i conflitti interni al centrosinistra, che è un'eterna polveriera».

L'anti-melonismo è più forte dell'anti-berlusconismo o dell'anti-salvinismo che lo hanno preceduto?
«Sì lo è, per la storia di Giorgia Meloni, che è più marcata politicamente».

E se dovesse vincere proprio lei, la faranno governare?
«Bisognerà vedere come vince. Certo, se il centrodestra otterrà il 47% dei consensi, che gli garantirebbe il 55% degli eletti... a quel punto toccherebbe a Mattarella. Il presidente avrà un ruolo decisivo, vedremo se si schiererà contro i vincitori delle elezioni, come in sostanza fece Scalfaro nel 1994 con Berlusconi, o se rispetterà la volontà degli italiani e farà scudo al risultato delle urne».

Con i grillini, cinque anni fa, difese il voto...
«Sì, i grillini furono accettati. Accettare Fratelli d'Italia comporterebbe un forte contraccolpo a sinistra, ma sono convinto che non accadrà nulla che uscirà da una normale dialettica politica».

Pensa che se vince la Meloni sia a rischio la tenuta del Paese e che il consesso internazionale si scatenerà contro di noi?
«No. La scomunica internazionale se in Italia governasse la destra mi sembra solo uno spauracchio elettorale, che rischia peraltro di giovare alla Meloni e agli altri, stimolando un legittimo senso di sovranità nazionale».

Non è in vena di sconti, il professor Ernesto Galli della Loggia, con il centrodestra. Ma per la verità lo storico non risparmia critiche a nessuno. Ne ha per i grillini, «privi di capacità e qualità di governo», per Letta, che «ha una leadership di debole consistenza», per il Centro, «tranne Calenda incapace di darsi un'identità politica e quindi inutile», e naturalmente per Berlusconi e Salvini, il primo «per il vizio di promettere un Bengodi che non potrà mai esserci», il secondo «perché certi comportamenti da goliarda, che gira con le magliette di Putin che poi gli rimbalzano in faccia, danno un'immagine inaccettabile della Lega, la quale invece è un partito che, almeno a quanto si vede sul territorio dove vanta ottimi amministratori, non manca certo di capacità di governo». Il professore tradisce un entusiasmo di recarsi al seggio pari a quello che avrebbe se gli offrissero da bere un bicchiere di cicuta ed è persuaso che «la grande crisi economica non giochi a favore né della destra né della sinistra, bensì dell'astensionismo, perché la situazione è grave e seria, ma se qui nessuno propone nulla di serio, come sembra accadrà, la gente se ne starà a casa». Come il Paese, Galli della Loggia è "in ascolto", ma non sente nulla di quello che vorrebbe. Anche perché non esclude che poi finisca come al solito, «con i giochi che si fanno dopo il voto, scomponendo le alleanze».

 

 

 

Professore, qual è la differenza principale oggi tra centrodestra e centrosinistra?
«È una differenza di storie, di passati, di punti di riferimento, di idoli e quindi di obiettivi. Prenda la Costituzione...».

Bellissima, però qualche ritocchino a 75 anni non le guasterebbe...
«Per la sinistra la Costituzione è un feticcio intoccabile, per il centrodestra no. La Meloni parla di riforma presidenzialista, ma se si ricorda è un vecchio tema di Berlusconi che la leader di Fdi ha ripreso».

Il centrodestra se vince proverà a cambiare la Costituzione?
«Lo ha sempre paventato, ma poi non ha mai osato farlo.
Adesso mi pare che non lo dica neppure più. I politici fanno un decimo delle cose che promettono in campagna elettorale, e non è detto che sia un male».

Servirebbe una bicamerale ricostituente?
«E forse tutti sarebbero anche d'accordo su cosa fare, ma per il momento mi pare impensabile».

Allora siamo destinati ad avere molti altri governi tecnici...
«Il governo tecnico è sempre un tappare un buco, non è mai la soluzione».

Draghi ha voluto o ha dovuto andarsene?
«Non aveva più la fiducia della maggioranza, non in termini aritmetici, ma politici».

L'Agenda Draghi è un buon tema da cavalcare in campagna elettorale?
«Lo sarebbe, ma se lo cavalcano in dieci, come è ora, vale poco».

Chi pagherà il prezzo più alto per la caduta di Draghi?
«Lo sta già pagando Conte, che è uscito completamente stritolato dal braccio di ferro con il premier».

La cosa gli è sfuggita di mano, forse non voleva arrivare fino alla crisi?
«E le pare una piccola cosa per un leader di partito? In ogni caso, Conte ha ereditato un movimento già defunto, sfibrato dall'incapacità di dare concretezza politica alla piattaforma protestataria sulla quale aveva edificato le proprie fortune».

A me pare che anche Letta sia in grandi difficoltà: non ha ancora deciso neppure con chi presentarsi alle elezioni...
«Non è facile per lui. Deve rendere compatibili i suoi presunti alleati con tre-quattro correnti del Pd che hanno idee opposte in proposito. E quand'anche ci riuscisse, poi dovrebbe rendere compatibili tra loro tutti gli alleati. Una fatica da Sisifo».

Ha voluto lui la bicicletta e ha sbagliato lui a puntare su M5S. Alla fine cosa farà?
«Andrà con il Centro, ma ancora non saprei dire quale. Anzi, non saprei dire neppure cosa è il Centro, schieramento senza proposte precise di alcun genere, e senza ideologia che non sia quella di uno scialbo moderatismo, e pertanto privo di identità. L'unico che mi pare faccia eccezione è Calenda».

Calenda ha un'identità...
«Sì, infatti è quello con cui sarà più difficile scendere a patti».

Anche Renzi ha un'identità...
«Nì. Il guaio è che l'identità personale e caratteriale di Renzi è talmente forte da mettere assolutamente nell'ombra l'identità politica di Italia Viva».

Almeno metà degli elettori dem vorrebbe che il Pd si presentasse da solo...
«Ma Letta non può farlo. Non ha la qualità di leadership della Meloni, personalmente non attrae consensi oltre il raggio di identità del proprio partito».

Mi sta dicendo che la Meloni secondo lei avrebbe dovuto scegliere di correre da sola?
«Dal punto di vista del consenso credo che le sarebbe convenuto. Ha le potenzialità per arrivare in alto. Oggi il voto è molto volatile. Nessuno aveva previsto cinque anni fa che M5S avrebbe superato il 32%».

Non si sarebbe lepenizzata andando da sola?

«Ha uno standing superiore alla Le Pen, anche a livello internazionale. Certo, avrebbe corso un rischio maggiore di sconfitta».

Consigli al centrodestra per vincere le elezioni?

«Non sono il leader del centrodestra, né potrei esserlo».

Impressioni?

«La sinistra farà una campagna elettorale impostata sul pericolo del nemico alle porte, tutta giocata in difesa, della Costituzione, dei principi democratici, dei diritti. Il centrodestra dunque dovrà avere un ruolo proattivo, si dovrà inventare qualcosa di più del milione di alberi, della promessa di ridurre le tasse e di alzare le pensioni. Queste cose irrealizzabili in realtà servono solo a sputtanare l'offerta elettorale della coalizione. Al centrodestra serve un restyling vero, deve costruire una proposta politica che abbia un forte ancoraggio alla realtà. Alla Meloni però un consiglio vorrei darlo...».

Visto che ormai è troppo tardi per andare da sola...

«Deve cercare di agganciare personalità diverse dalla sua storia e deve mollare categorie che sono un peso per il Paese e costituiscono un bacino di voti marginale. Via la robaccia. Un leader conservatore deve conservare i valori, non le abitudini, che in Italia sono quasi sempre cattive abitudini». Vatti a fidare dei professori... 

 

 

 

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