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Carlo De Benedetti vuole far fuori Ignazio Marino: schiera contro il sindaco i suoi giornalisti

Andrea Tempestini
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C'è una fotografia mai scattata che racconta forse meglio di ogni altra l'epopea di Ignazio Marino, sindaco di Roma. Non essendoci stato il click, nessuno l'ha vista. Chi scrive invece ha avuto questo privilegio: è una foto virtualmente scattata dallo specchietto retrovisore di una Smart imbottigliata come sempre nel traffico della capitale lungo la salita che porta da via Nazionale al Quirinale. De Benedetti riuscirà a "far fuori" Marino? Vota il sondaggio di Liberoquotidiano.it Vi appariva a farsi largo fra le auto un signore in piedi sui pedali di una bicicletta, sbuffante per la fatica: era proprio Marino, il sindaco. Dietro di lui con l'aria ancora più affaticata e i polmoni straziati dallo sforzo un anziano signore sulle due ruote. Forse un assistente, forse un poliziotto. Così un altro ancora. E a incunearsi fra loro un motorino con due a bordo, giubbotto nero rigonfio per le armi di ordinanza. Una foto che è la storia di quest'anno di Roma: il sindaco popolare, che taglia i costi della politica, rinuncia all'auto blu. E gira sulla bici blu con scorta blu, rabbia e fatica di chi lo deve servire e seguire nelle manie. Mesi dopo - in tempi recentissimi - avremmo scoperto che anche quelle sgambate avvenivano più per i flash che per la sostanza: un furgone blu custodisce al suo interno le bici d'ordinanza per il sindaco e il suo corteo, e le libera quando l'occasione è propizia per il piccolo spot che ormai i romani hanno imparato a conoscere. Di quegli spot, di quella finzione senza sostanza, che spesso aggrava e non allevia conti pubblici e problemi vari della capitale di Italia, nessuno oggi ne può più. Non che Marino fosse arrivato in Campidoglio sull'onda di un plebiscito: fu scelto un anno e mezzo fa da poco più di un romano su quattro (28,16%), prendendo 664.490 voti sui 2.359.119 aventi diritto. Secondo i sondaggi ora farebbe fatica a superare la metà di quella percentuale. È raro riuscire a distruggere consenso in tempi così rapidi, però ci è riuscito. E lo ha fatto dando quasi sempre la colpa ad altri di ogni insuccesso evidente: dai suoi assessori sostituiti come birilli e ora pronti ad essere nuovamente scalzati nella speranza di evitare quella ghigliottina dentro cui il Pd vorrebbe posare la testa del suo sindaco. Fino ai suoi stretti collaboratori, su cui subito ha scaricato le avventure della sua mitica Panda rossa, che ha aggirato ogni ferreo e salatissimo divieto imposto proprio da quel sindaco alla cittadinanza. Non ne possono più i romani, non ne può più la gente che lavora in Campidoglio, non ne può più il suo stesso partito. E ora non ne può più nemmeno il gruppo editoriale che riflette umori e pensieri di gran parte della sinistra capitolina: quello di Carlo De Benedetti. Ieri all'unisono Repubblica e L'Espresso hanno tirato colpi che per chiunque altro avrebbero significato il ko. Ma non è facile tirare giù Marino, per quanto ormai sia chiaro che non potrà resistere più di tanto. Il sindaco di Roma è un maestro dell'incasso, un Mohamed Alì de' noantri (anche se lui romano non è ). Succede una cosa, e lui parla di tutt'altro. Gira le carte, le confonde. Un po' come nella targhetta del campanello della sua abitazione privata: c'è scritto M. I., cioè Marino Ignazio, e chissà se lui stesso ormai confonde nome e cognome o pensa che così finiscano in confusione eventuali scocciatori. È una tecnica consolidata. Due volte Roma in questi mesi è stata alluvionata da bombe d'acqua mal previste e mal gestite. Di fronte alle falle che si aprivano in una città che non viene tenuta nonostante sia generosamente mantenuta dal resto d'Italia, il sindaco ha frapposto le canne. Non bambù: la prima volta autorizzò nello stesso giorno due cortei per la droga libera, portando abilmente lì le polemiche. La seconda si è lanciato in un'elegia dello spinello, che «fa sentire meglio e toglie i dolori». Un mago nello spostare altrove cercando di distrarre. Ma attenzione, perché a forza di numeri da prestigiatore il sindaco rischia di restare prigioniero del suo stesso incantesimo. Basta parlare con qualsiasi potente Pd della capitale: qualche settimana fa alzavano gli occhi al cielo, ma temevano elezioni e l'ira dei romani. Ora non più: sono apertamente convinti di potere strappare applausi facendo calare la lama di quella ghigliottina. Per 18 mesi Marino ha vissuto spostando l'attenzione su altro. Ora quello pronto per essere spostato è proprio lui. di Franco Bechis

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