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Rai, Roberto Sergio: "Prima evitare il crollo, poi Nicola Porro"

Francesco Specchia
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 «In bocca al lupo? Per quante volte me l’hanno detto, mo’ er lupo me lo so’ magnato io...». Da vecchio democristiano avvezzo al paso doble, al pieno dei sorrisi e ai vuoti di potere, Roberto Sergio ha finalmente preso possesso dello scranno di amministratore delegato della Rai. Come insinua Fiorello nel suo programma mattutino, la madonnina a forma di Meloni sulla scrivania del nuovo boss ora comincia a lacrimare. Ci mancava solo il segno divino. Romano, classe 1960, due lauree, due figli e una moglie, possente di stazza, voce da baritono e abbronzatura da Apache, manager di lunghissimo corso (da Lottomatica ai vertici – chez Pierferdy Casini - di Sipra Rai Net, Rai Click, Rai Sat a Radio Rai), nonchè poeta inventore del Premio Laurentum: Sergio dal 2007 fa parte delle mura di Viale Mazzini.

 

 


LA STAFFETTA
Più che un meloniano accanito, Sergio è un classico membro di quel “partito Rai” che stringe patti d’acciaio col potere ma espelle chi non entra nei meccanismi vischiosi di viale Mazzini. Il suo primo atto, ieri, è stato nominare il suo alter ego Giampaolo Rossi direttore generale (in attesa della staffetta con lo stesso Rossi il prossim’anno, quando sarà sull’orlo delle pensione); e dare così inizio ad una rivoluzione che parte come una lenta e paziente palingenesi. «Per prima cosa mettiamo mano al piano industriale, e riapriamo il dialogo coi sindacati che hanno preparato lo sciopero generale della Rai. Capisco che sarà difficile cambiare i loro piani in corsa, ma la governance è cambiata, ora riattiviamo tutto», ci dice. E «tutto» significa innanzitutto il piano industriale ora latente; e poi il contratto di servizio «che consentirà la riduzione del debito che entro il bilancio 2023 è previsto di 600 milioni di euro»; e poi, quindi, il via libera all’apertura dei rubinetti chele stesse banche minacciavano di chiudere.

 

 


Dopodiché ci sarà la presentazione dei benedetti palinsesti «il 7 luglio, ma prima le nomine dei direttori nuovi e confermati il 25 maggio». E cioè: «il Tg1 a Gian Marco Chiocci, Tg2 a Antonio Preziosi, Tg3 per Mario Orfeo (confermato)». Per quanto riguarda i generi questa la griglia: «Approfondimento, Paolo Corsini, Intrattenimento Prime Time, Marcello Ciannamea, daytime, Angelo Mellone, a Isoradio se Angela Mariella si sposta potrebbe essere sostituita da Maria Antonietta Spadorcia o da Grazia Graziadei. A Radio 2, Simona Sala, responsabile della Radiofonia, Roberto Sergio ad interim con Flavio Mucciante vicedirettore, responsabile di San Marino Andrea Vianello», e via via tutti gli altri. Con calma e per favore.
Poi ecco la notizia più appetitosa dal punto di vista del telemercato: «L’obbiettivo è prendere Nicola Porro al posto di Fabio Fazio con cui non sono riuscito a parlare perché se n’è andato prima che arrivassi io» continua l’ad «a Porro, però, noi non offriremmo né il prime time della domenica, del sabato o del giovedì, sarebbe stupido data l’offerta di talk show in quei giorni. Pensiamo a lui il lunedì sera». Mi dicono che Porro, con questa collocazione e una sua parte in produzione, sarebbe interessato al ritorno in Rai.


PIANO PIANO
Dopodiché, toccherà mettere mano alle fiction «elemento essenziale» nella narrazione meloniana della nazione. E dopo ecco la conferma di programmi di successo d’intrettenimenmto «come The Voice Kids». E si sbloccano anche un po’ di schede di programmi di star del giornalismo in trepidante attesa come Annunziata e Berlinguer «per accontentare la sinistra, evitare vertenze e figuracce dato che non abbiamo programmi per sostituirle», dicono gli uomini di Sergio. E Luisella Costamagna in predicato per il ritorno via M5S? «Be’, ha vinto Balliamo con le stelle, troverà un posto come ballerina», battuteggia l’ad. Insomma, niente bombe atomiche sulla Rai. «Le rivoluzioni si fanno, ma ci vuole una fase di transizione per trovare il giusto abbrivio, gli equilibri, i passi felpati». Sergio è il feroce democristiano che c’è in noi... 

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