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Ferrari, in Brasile è stato toccato il fondo: ecco cosa rischia la rossa

Leonardo Iannacci
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Sfortuna? Dilettantismo? Incapacità? Pressapochismo? Scegliete voi. Tutto il mondo sta ridendo dietro a quello che è il marchio italiano più celebre nel mondo, la Ferrari. Lo fa da anni, 16 per la precisione visto che il titolo iridato di Formula 1 manca a Maranello dal 2007, con Raikkonen. Dopo Kimi, il diluvio: di insuccessi e, ancor più grave, di figuracce umilianti in mondovisione. L’ultima in Brasile, domenica sera, con Leclerc reduce da un’annata pessima che non è riuscito neppure a prendere il via per un non ben precisato guasto all’idraulica nel giro di ricognizione.

Se lassù il Drake di Maranello si sta rigirando nella tomba, Luca di Montezemolo ha sempre detto: «Non riesco a capacitarmi quando a Maranello esultano per un terzo posto. Quando c’ero io il secondo era quasi una sconfitta».

Curiosamente, le attuali nefaste figuracce non collimano affatto con una realtà aziendale che va a gonfie vele sotto la guida dell’ad Benedetto Vigna: le azioni del Cavallino veleggiano ai massimi storici ben oltre le 300 euro e sono stati registrati 963 milioni di utile nei primi nove mesi dell’anno con 4,4 miliardi di ricavi. Il 2024 si prospetta faraonico. In pista, invece, un disastro continuo se si eccettua la vittoria di Sainz a Singapore. Poi, un nuovo naufragio. Molteplici e varie sono le ragioni dei continui flop in una F1 che vede le Rosse sempre dietro ad altre scuderie: va bene la Red Bull, ma quando le SF-23 arrancano alle spalle di Mercedes, McLaren e pure Aston Martin, è il caso di chiedersi se i tecnici di Maranallo, i team manager che si susseguono (dopo Binotto voluto da Sergio Marchionne è arrivato Fred Vasseur che ne sta ricalcando i tonfi), i vari responsabili ai box che sbagliano sempre le strategie in gara e le gomme da usare (e in questo Leclerc non dà mai una mano come invece fa Verstappen), siano ancora le persone giuste per rappresentare il Cavallino davvero poco rampante.

 

Vero che Adrian Newey, il fuoriclasse dei progettisti, ce l’ha la Red Bull. Però i tecnici bravi Maranello li aveva, ma ai tempi di Sergio Marchionne li ha mandati via, per gelosie interne e scelte assurde. Qualche nome? James Allison e Aldo Costa (poi strateghi delle Mercedes vincenti di Hamilton e Rosberg), Andrea Stella (ora in McLaren), la scuderia più antica e gloriosa del mondo resta la Ferrari, l’unica che - pochi lo sanno - ogni anno ha da Liberty Media un bonus di 100 (!) milioni di dollari in virtù della sua storia e l’unica che ha il fondamentale potere di veto quando si votano le nuove regole. Eppure, malgrado tutto, questi enormi vantaggi negati ad altri team, vengono vanificati: da 16 anni Maranello va incontro a figuracce mai viste, anche quando aveva come prima guida Alonso e Vettel. «Perché sono così sfortunato?», si chiedeva Paperino Leclerc domenica sera, adducendo sfiga e soltanto quella alla base degli insuccessi clamorosi delle Rosse.
La spiegazione non è così banale e il monegasco, che da quattro anni mangia fiele e butta giù bocconi amarissimi, lo sa bene essendone correo solo in parte. 

Il marcio viene da chi disegna la macchina, da chi interpreta male le regole, da chi sbaglia aerodinamica, da chi assembla monoposto come la SF -23 che non riesce neppure a partire per un buco nel serbatoio (Sainz ad Austin) o per misteriosi guai all’idraulica (Leclerc a San Polo).

L’ingegner Enrico Cardile è il primo responsabile di tutte queste Ferrari bagnarole e, ahinoi, ha appena finito di progettare la Ferrari che correrà nel 2024 con gli stessi tecnici e la stessa èquipe che hanno realizzato le Rosse disastrose degli ultimi anni.

 

NUOVI INNESTI
Nuovi innesti tra i progettisti saran no fatti tra due anni, quando magari l’entrata di altri marchi - Audi, Ford e Honda - aumenterà gli avversari. E John Elkann, che dice il presidente di Maranello? Nulla. Si consola con la vittoria Ferrari nell’ultima 24 Ore di Le Mans. Uno zuccherino rispetto al la F.1 dove si continua a sperare nel prossimo gran premio. Si correrà il 16 novembre a Las Vegas, la capitale del gioco d’azzardo. Dove servirebbe un jolly pesante per far risorgere il Cavallino sempre più ragliante.

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