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Finanza, la rivolta delle banche Usa: ecco chi vogliono far fuori

Sandro Iacometti
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Vincoli assurdi, obiettivi irraggiungibili, rischi legali. Il tutto mentre i governi occidentali se la prendono comoda e l'Asia se ne frega. Se la notizia fosse confermata potremmo essere di fronte alla prima grande crepa nel castello ideologico mondiale della lotta senza quartiere ai cambiamenti climatici. A lamentarsi dei diktat verdi, infatti, non è qualche staterello canaglia o qualche movimento sovranista notoriamente insensibile ai temi ambientali. No, a scendere in campo sono le banche più grandi del mondo: JpMorgan, Morgan Stanley, Bank of America. Istituti che ormai, come del resto fanno anche i nostri, passano le giornate a sfornare bilanci di sostenibilità e rapporti sulla riduzione delle emissioni. Scartoffie tutto sommato innocue, se non fosse che le autorità non si accontentano più delle chiacchiere. E presto inizieranno a comminare sanzioni e multe a chi non rispetta gli obiettivi.

 

 

IMPEGNI GLOBALI - È per questo che, secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times, i colossi del credito Usa starebbero pensando di dire addio alla grande alleanza, sotto l'egida delle Nazioni unite, che si è creata lo scorso anno in occasione della Cop26 scozzese: la Glasgow Financial Alliance for Net Zero (Gfanz). «Stiamo pensando di tirarci fuori da questi impegni verdi globali. Non permetteremo a terzi di creare responsabilità legali per noi e i nostri azionisti. È immorale e irresponsabile», ha detto un alto dirigente di una banca statunitense. Negli ultimi incontri della "alleanza verde" molti avrebbero espresso stupore per i criteri climatici più severi imposti dall'Onu. Il riferimento è agli obiettivi severi sull'eliminazione graduale di carbone, petrolio e gas introdotti durante l'estate dalla campagna delle Nazioni Unite Race to Zero. Regole che a cascata orienteranno anche l'attività della Securities and Exchange Commission (la Consob Usa), che ha già proposto norme più severe in merito alle informative e agli impegni sul rischio climatico. La Sec richiederà presto divulgazioni formali nelle relazioni annuali sulla governance, la gestione del rischio e la strategia rispetto ai cambiamenti climatici. Le aziende, spiega il quotidiano finanziario londinese, dovranno inoltre rivelare ed essere ritenute responsabili per eventuali obiettivi o impegni assunti, con piani dettagliati su come raggiungerli.

 

 

ONERI AGGIUNTIVI - Secondo i banchieri le nuove regole potrebbero aggiungere centinaia di pagine ai rapporti annuali e richiedere un piccolo esercito di contabili e avvocati in più per produrre e controllare i dati, che non sono ancora affidabili o adeguatamente codificati. Le perplessità delle banche non sono proprio una novità. Gli istituti entrati nell'alleanza, infatti, si sono fin dall'inizio opposti ad una road map per ridurre le emissioni di gas serra a zero entro il 2050, rifiutandosi di porre fine immediatamente al finanziamento di tutti i nuovi progetti di esplorazione di petrolio, gas e carbone (prospettiva osteggiata anche da molti Stati Usa a trazione repubblicana, come Texas e West Virginia). Ma ora l'insofferenza sembra cresciuta. Sia perché i governi stanno dimostrando di non riuscire a mettere in campo un'azione altrettanto solida sui cambiamenti climatici, sia perché non esiste attualmente la tecnologia necessario al raggiungimento di alcuni degli obiettivi. A rendere il boccone più amaro, infine, c'è il totale disinteresse dell'Asia. Delle 116 banche che hanno aderito alla Net Zero Banking Alliance, la filiale bancaria di Gfanz, nessuna è cinese o indiana. Un po' come accade con le politiche verdi dell'Occidente. Noi tiriamo la cinghia. E loro inquinano.

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