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Tassa sulle banche? Una scelta giusta, non una punizione

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Gianluigi Paragone
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Non avevo dubbi: il governo fa la cosa più giusta per riequilibrare il caos sociale generato dalle crisi e il fronte dei buoni che fa? Si squaglia tra silenzi e balbettamenti a testimonianza del fatto che, oltre le chiacchiere, non c’è sostanza. Il governo che spesso viene accusato di essere manovrato dal grande capitale piazza una mossa perfetta nei tempi e sacrosanta nell’essenza, una mossa che può valere all’incirca tre miliardi di euro: la tassa sugli extra profitti bancari. E’ una mossa perfetta nei tempi perché nonostante se ne parlasse insistentemente da qualche settimana, sui radar dei retroscenisti non c’era traccia; tantomeno sulle bozze del decreto. Quindi quello della Meloni (in pieno accordo con Salvini) è stato un blitz perfettamente riuscito e che, al netto della prevedibile e stizzita risposta dei mercati, ha la maturità di una piena scelta politica.

Entriamo così nel cuore della questione. La tassazione sugli extraprofitti non è una punizione a danno delle banche (e inviterei gli istituti di credito a stare attenti con un piagnisteo irritante) ma è il riallineamento tra economia reale ed economia finanziaria, dove la prima ha pagato tutti i prezzi delle crisi mentre la seconda, nelle crisi, ci ha inzuppato il biscotto riempiendolo di guadagni record. Incassare pertanto dalle banche un obolo per il solo fatto di aver guadagnato per effetto di dinamiche meramente finanziarie e speculative (intendo un significato largo e non malevolo) credo che sia doveroso per un governo politico e non tecnico: il conto della crisi non può sempre finire sul tavolo di chi sta mani e piedi nell’economia reale o sul tavolo dei lavoratori e le loro famiglie.

 

RICADUTE SOCIALI
Il combinato disposto fra inflazione, aumento delle rate da onorare per i mutui a tasso variabile e appunto le recenti trimestrali non poteva che spingere l’esecutivo su questa scelta. Una scelta che oltre a riallineare un po’ di più il mondo delle imprese e le banche (ormai eccessivamente a trazione finanziaria), ha anche il pregio di una ricaduta sociale.

Si parla, dicevamo, di un gettito che potrebbe cubare all’incirca tre miliardi. Da mettere sul piatto di una bilancia che - ahinoi - sta pesantemente penalizzando quel blocco sociale che avremmo definito ceto medio e medio-basso. Proteggere case e capannoni dal rincaro dei mutui è quanto mai urgente; aver scelto di proteggere le prime case e impegnarsi sull’abbassamento delle tasse, mi pare una mossa perfetta. Le banche non devono protestare o agire per lobby affinché la mossa sia attenuata (Forza Italia, siete davvero sicuri di prestarvi a damigelle delle banche?): i dati dell’ultimo semestre, anche per effetto del rialzo dei tassi di interesse, segnano profitti importanti, finanche da record, che brillano ancor più se si pensa al contenimento di spese legate al personale e alla digitalizzazione di molti servizi. Performance che non si specchiano nell’economia delle pmi. (Nel solo primo trimestre le prime quindici banche avevano accumulato sei miliardi di profitti, il 182 per cento in più di un anno prima, il triplo per le tre più grandi.) 

A detta di molti la netta contrarietà della Bce e delle banche più grosse sembrava potesse avere la meglio sui pensieri del governo, pertanto la scelta di questa tassa come ultimo pezzo prima della pausa estiva è un segno di sicurezza e di coraggio. Che ha visibilmente spiazzato le opposizioni e le solite gazzette padronali, cui non resta che inseguire fantasmi e bavagli. Se ora la Meloni e i suoi ministri riescono anche a sfilare all’opposizione il delicato tema di salari troppo bassi, faranno bingo.

 

 

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