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Coronavirus, i soldi della sanità spesi in accoglienza: così miliardi sono finiti ai migranti

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Giuliano Zulin
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Pochi medici, pochi infermieri, pochi reparti di terapia intensiva, rischio intasamento, forse collasso. L'emergenza Coronavirus ha evidenziato quello che i cittadini e gli amministratori locali sapevano da tempo. Negli ultimi dieci anni, al grido di "ce lo chiede l'Europa", si sono tagliati i fondi per la sanità pubblica. Eh, c'era l'austerity, lo spread, il debito da contenere (che invece è esploso), però per i migranti, stranamente, le risorse si sono trovate. Ricorderete tutti il fuori onda di Emma Bonino, la quale spiegava come il governo Renzi ottenne flessibilità (ovvero possibilità di fare deficit) in cambio dell'accoglienza epocale di clandestini. Per l'accoglienza insomma i denari c'erano. E non due spicci. Conti precisi non ce ne sono, tuttavia dal 2010 l'Italia ha speso circa 20 miliardi allo scopo di ospitare e sostenere richiedenti asilo o simili. Nello stesso periodo il sistema sanitario nazionale ha perso 37 miliardi.

La fondazione Gimbe, attenta al mondo della salute, ha recentemente fornito un dettagliato elenco di mortificazioni ai danni degli ospedali. Nel periodo 2010-2019 alla sanità pubblica sono stati sottratti appunto 37 miliardi di cui circa 25 (2010-2015) in conseguenza di tagli previsti da varie manovre finanziarie e oltre 12 (2015-2019) del "definanziamento" che ha assegnato meno risorse alle Asl rispetto ai livelli programmati, sempre per l'attuazione degli obiettivi di finanzia pubblica.

PRIMI TRA I "POVERI"
Uno degli ultimi rapporti Ocse dimostra che se oggi in Italia la percentuale del Pil destinato alla spesa sanitaria totale (considerando anche quella privata) è pari alla media dei Paesi Ocse (8,8%), siamo ormai fanalino di coda tra i Paesi dell'Europa nord-occidentali: infatti Svizzera, Germania, Francia, Svezia, Austria, Danimarca, Belgio, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Finlandia, Portogallo e Spagna destinano alla sanità una percentuale del Pil superiore alla nostra. La nostra penisola si avvicina invece agli Stati dell'Europa orientale, dove il finanziamento pubblico sta crescendo in maniera rilevante. Siamo primi tra i "poveri". Se nel 2009 le differenze assolute sulla spesa pubblica tra Italia e altri grandi del G7 erano modeste, con il definanziamento statale sono ormai divenute incolmabili: nel 2009 la Germania investiva "solo" 1.167 dollari (+50%) in più dell'Italia, nel 2018 il divario è salito a 2.511 dollari (+97%), ovvero 5.056 contro 2.545 dollari.

CARA PAGHETTA
Dobbiamo ringraziare il Pd per tutti questi bei numeri, visto che è al governo in pratica dal 2011 a oggi. E proprio la spinta Dem è stata decisiva per aprire i porti a accogliere centinaia di migliaia di aspiranti profughi. Costosi. Paghetta giornaliera, costi sanitari, personale: la spesa è passata da poco meno di un miliardo nel 2012 a oltre 4 miliardi nel 2018. Nel solo triennio 2014-2016 l'emergenza migranti ci è costata - rivelata una ricerca del centro studi di ImpresaLavoro - circa 6 miliardi 145 milioni. Complessivamente i contribuenti hanno di fatto subìto una finanziaria per avere più immigrati in patria. Con Salvini, grazie alla riduzione degli sbarchi e all'introduzione dei decreti sicurezza, la spesa per i migranti è scesa di 1,5 miliardi. Un inizio di spending review strozzato non appena i giallorossi sono andati al potere. Recentemente infatti la ministra Lamorgese ha di nuovo rialzato la mancia quotidiana di 3 euro per richiedente asilo. Non solo, secondo l'ultimo report della Corte dei Conti europea, riferito all'anno 2018, le 115 Ong della nostra Penisola che hanno pubblicato i propri bilanci hanno incamerato circa 943 milioni di euro, il 60% dei quali arriva da donatori istituzionali.

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