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Chico Forti, sparisce il documento per farlo tornare in Italia. Luigi Di Maio: "Un caso complesso"

 Chico Forti

Alessandro Dell'Orto
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Il documento che potrebbe finalmente sbloccare il ritorno in Italia di Chico Forti resta introvabile e, anzi, diventa un mistero, ma almeno ora il problema è evidente a tutti. A chi - amici, parenti o persone ragionevoli che si sono semplicemente documentate - ha sempre creduto nell'innocenza di Chico, che sta scontando la condanna negli Usa dal 15 giugno 2000 per il presunto omicidio (mai davvero dimostrato) di Dale Pike il 15 febbraio 1998 a Miami; al mondo politico italiano che in 21 anni se ne è sempre fregato (a parte Giulio Terzi e, sei mesi fa, Di Maio che almeno ci ha messo la faccia, ma poi sembra essersi accontentato); agli organi competenti, che ora devono dare risposte precise. Già, perché dopo l'interminabile attesa, la speranza e la delusione, il caso di Chico non può restare per altro tempo sospeso tra ipocrisie, disinteresse, superficialità, pigrizia e incomprensioni internazionali.

Ecco perché, a seguito della denuncia di Libero, i social ieri si sono scatenati tra indignazione e accuse, chiedendo giustizia per l'imprenditore italiano e pretendendo chiarezza sui documenti che il dipartimento della giustizia degli Stati Uniti d'America avrebbe dovuto mandare al nostro ministero della Giustizia per accordarsi sulla commutazione della pena (l'ergastolo senza condizionale - cioè il detenuto esce solo da morto - cui è stato condannato Chico non esiste nel nostro ordinamento), permettendo così alla pratica di essere trasferita da noi (arrivati nel Paese di espiazione della pena, il destino giudiziario viene deciso dalla magistratura locale sulla base delle leggi del posto).

 

 

INDIGNAZIONE SOCIAL - Per Chico si è mossa la gente comune, ma il caso è diventa subito politico. Il leader della Lega Matteo Salvini ha inviato un messaggio alla zia di Forti («Buona domenica Wilma. Ma come mai tutto questo ritardo per rivedere Chico in Italia??») e ha espresso preoccupazione («Doveva da tempo essere trasferito dagli Stati Uniti all'Italia, ma i mesi passano e non sembrano esserci novità. Dopo aver letto alcune notizie di stampa allarmanti, che parlano di problemi burocratici che avrebbero bloccato tutto, sono tornato a scrivere alla famiglia per mettermi a loro totale disposizione come già successo in passato. La Lega segue la vicenda ed è a disposizione per dare una mano: bisogna fare di tutto per riportare Chico Forti a casa»). Mentre la Farnesina ha spiegato: «Quella relativa al trasferimento in Italia di Forti è una procedura complessa che vede coinvolte diverse amministrazioni degli Stati Uniti, in particolare lo Stato della Florida e il dipartimento della Giustizia federale degli Stati Uniti. Da parte italiana, in questa fase il ministero della Giustizia segue direttamente la fase del trasferimento. Contestualmente l'ambasciata italiana a Washington e la Farnesina seguono gli sviluppi del caso. In particolare il ministro Di Maio ne ha discusso più volte con il segretario di Stato, Antony Blinken».

 

 

Tante parole, ma in realtà poche risposte concrete (il famoso documento dov' è? È partito? È arrivato?) e troppa diplomazia, che lascia quasi la sensazione che anche all'interno del governo la questione non sia chiara a tutti. Per ché mentre la Farnesina diceva genericamente che la situazione è complessa, il ministero della Giustizia ha fatto luce su alcuni punti fondamentali della questione, precisando che «ad oggi gli Stati Uniti non hanno mai trasmesso all'Italia la documentazione previ sta per il trasferimento di Enrico Forti, detenuto in un penitenziario della Florida. Il Ministero della Giustizia non ha quindi ricevuto alcun faldone, né documento utile all'estradizione del cittadino italiano, condannato per omicidio nel 2000. Al contrario, l'ultimo atto pervenuto dagli Stati Uniti è una lettera del Department of Justice di Washington, datata 26 febbraio, in cui si fa presente che il Governatore dello Stato della Florida sollevava ulteriori richieste di chiarimenti, a cui la Ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha subito dato seguito.

L'ultima comunicazione formale è una lettera inviata dalla Guardasigilli lo scorso 10 marzo al Governatore dello Stato della Florida, per "attirare la sua attenzione sul caso" e fornire ulteriori rassicurazioni, al fine di favorire il trasferimento in Italia di Forti». E ancora, il ministero della Giustizia ha svelato che «ad oggi i competenti uffici del ministero della Giustizia, che hanno lavorato in coordinamento con quelli del ministero degli Affari Esteri, non hanno ricevuto alcuna risposta a questa lettera, di cui la Guardasigilli ha parlato anche nell'incontro con l'Incaricato d'affari americano in Italia. La Ministra Cartabia continuerà a sollecitare con vigore, in tutte le sedi opportune, l'estradizione in Italia di Enrico Forti».

 

 

SCARICABARILE - Ora, almeno, sappiamo che l'imbuto della questione è ancora negli Usa e che i rapporti restano complicati, vista la lentezza con cui gli Stati Uniti affrontano la questione. «Il risultato, però, è che sembra un gioco allo scaricabarile - dice con delusione Gianni Forti, lo zio di Chico -. Se io invio una richiesta e non ricevo risposta, dopo un po' mi rifaccio vivo e sollecito la persona cui ho scritto senza far passare troppo tempo. A questo punto mi aspetto un intervento ufficiale dello Stato italiano». Anche perché tra indignazione social, discussioni politiche e giustificazioni, a farne le spese è sempre lui, Chico. Che viveva felicemente a Miami, amava la vela (ha partecipato a sei mondiali e due europei di windsurf) e faceva il produttore cinematografico fin quando, nel 1998, senza motivo, è stato incolpato di aver ucciso Dale Pike, figlio di Anthony Pike, dal quale stava acquistando il Pikes Hotel a Ibiza. Che dal 2000 sta scontando l'ergastolo in Florida dopo essere stato condannato senza prove. Che ora ha 62 anni ed è rinchiuso in una prigione in attesa di trasferimento, che sei mesi fa è stato illuso di tornare presto in Italia, ma che ogni mattina si sveglia e capisce che il suo maledetto incubo - tra tanti blablabla - non è ancora finito.

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