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L'antisemitismo ormai viene con orgoglio: aggressioni, insulti, blocchi

Uno straniero aggredisce due ebrei a Firenze e posta il video. A Livorno boicottano una nave solo perché israeliana. Ultimi episodi di una lunga serie
di Claudia Osmettimercoledì 1 ottobre 2025
L'antisemitismo ormai viene con orgoglio: aggressioni, insulti, blocchi

(Ansa)

6' di lettura

La lista è drammaticamente lunga. E, per forza di cose, è pure incompleta: perché non tutti denunciano, perché qualcuno (per quieto vivere) minimizza, perché i tempi son quelli che sono ed essere ebreo, oggi, in Italia, ma anche nel resto d’Europa, ti espone al rischio di incappare per strada in un esagitato, in un “rivoluzionario” con la kefiah al collo, in un propal rinvigorito dalla mobilitazione per Gaza che pensa di poter dire quel che vuole e di poter fare quel che gli garba (tanto l’assoluzione delle masse è già implicita nell’antisemitismo di ritorno, amen e così sia). C’è di più, c’è l’esibizione dell’odio: il mettersi in mostra, sui social, in televisione, nelle dichiarazione rubate per quei quindici minuti di notorietà che non si negano a nessuno, figuriamoci all’arruolamento from the river to the sea.

Firenze. Qualche settimana fa (anche se la notizia è di adesso). In pieno centro, una notte di fine estate e un filmato di un minuto e mezzo che non è ripreso dalle vittime (particolare non irrilevante), bensì dagli aggressori: si vedono due ragazzi, sono chiaramente ebrei, hanno i cernecchi e la kippà, dai pantaloni di uno escono le frange del tallit, camminano per i fatti loro su un marciapiede. Chi li sta registrando si avvicina e fa, da subito, la voce grossa: «Where are you from?», da dove venite? Loro capiscono l’andazzo, farfugliano un «New York» (come a dire siamo-americani-abbiamo-capito-il-vostro-intento -lasciateci -in -pace) e proseguono col cellulare in mano. «Stop, shut up, no video, fuck you, mother fucker, free Palestine»: quelli continuano, si avvicinano, alzano il tono, sono aggressivi, hanno paradossalmente paura di essere fotografati a loro volta, allungano una mano e forse (si sente il tonfo di un oggetto ma è fuori dall’inquadratura) fanno cadere lo smartphone di uno dei due ebrei. Non demordono e, alla fine, corredano la clip che finisce sulla pagina Instagram di “Welcome to Florence” con due bandiere, una palestinese e una tunisina, e un cuore rosso.Vero, in questo caso i commenti degli utenti sono (quasi) tutti d’indignazione. resta il fatto che episodi del genere sono all’ordine del giorno. Sono giustificati, scusati, in qualche modo avallati dalle piazze a senso unico che fanno “mi piace” su Facebook e audience nei talk show.

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È l’ultima vicenda, quella di Firenze, ma fa il paio con l’arroganza dei portuali di Livorno che per quasi un dì bloccano la nave Zim Virginia in rada fuori dalla darsena, che quando entra (faticoÈ l’antisemitismo sdoganato. Quello che non solo ha trovato posto nelle piazze o sta riempiendo le pagine dei nostri giornali, ma che viene pure esibito. Mostrato con troppo orgoglio e ostentato con troppa poca vergogna, quasi fosse in corso la gara a chi è più propal degli altri. L’ultimo caso è il video dei due turisti ebrei aggrediti a Firenze (lo spieghiamo nel pezzo qui sotto): però, al di là della singola vicenda, che da sola varrebbe una mobilitazione di protesta ma in senso opposto a quella che sta bloccando tutto (in Italia) senza sapere niente (del Medioriente), è il contorno, oramai, che fa il vero problema. Sbaglia chi dice che siamo tornati al 1938. Oggi è peggio di novant’anni fa. L’antisemitismo (che si definisce antisionismo sperando di lavarsi la coscienza) del 2025 è più pericoloso: perché spesso è inconsapevole, è d’impulso; alle volte è in “buona fede”, è ingenuo; ma sempre è dettato dalla massa conformista, dalla moda collettiva, dal pensiero unico che è un po’ voga e un po’ uniformismo.

Cogito (e ovviamente dichiaro: “Free Palestine”) ergo sum. Altrimenti sono zero. Sui social, in tivù, nelle scuole. Va così ovunque. Va così da mesi, va così al punto che chi dissente viene minacciato (il prof di Firenze, ieri) o aggredito (il prof di Pisa, a inizio mese), va così che la narrazione per Gaza diventa un racconto contro Israele e contro gli ebrei. Frega niente, poi, se quegli ebrei sono (magari) eurosamente, scortata dai rimorchiatori), alle 13.15 di ieri, si asserragliano in un presidio della Filt Ggil, si schierano sulla banchina coi trattori, la urtano, suonano il clacson per far cagnara, spergiurano che non scaricheranno mezpei o italiani oppure contrari alle politiche di Netanyahu: l’importante è dar loro addosso, cacciarli dalle università, rifiutare i loro prodotti, boicottarli, negare alle loro famiglie il check-in in albergo. Non siamo arrivati alla stella gialla sul cappotto ma abbiamo di nuovo i negozi col cartello “vietato l’ingresso agli ebrei” (è successo a Flensburg, in Germania, meno di dieci giorni fa, ma è successo, con la dicitura un filino più paracula “gli israeliani sionisti non sono i benvenuti”, in una merceria di Milano, nel maggio scorso).

“Dal fiume al mare” vuol dire questo, vuol dire che Israele non deve esistere: e chi lo ripete nelle manifestazioni pensando sia uno slogan di pace o non ha capito nulla (e quindi è un grullo) o ha capito quando basta (e quindi è un antisemita). In entrambe le ipotesi, però, si è fatto infinocchiare dalla vulgata del momento: vent’anni fa erano i girotondi arcobaleno a cui chi non partecipava era un “fascista”, oggi sono gli scioperi per la Flotilla, e chi li snobba è complice del “genocidio”. Il cortocircuito è lo stesso; la legittimazione dell’odio verso gli ebrei, invece, è un fenomeno più attuale. Che pensavamo appartenesse al passato ma che è diventato parte di un presente sempre più brutale e rabbioso. E di cui in molti nemmeno se ne rendono conto.

I container e ottengono, così, che l’imbarcazione lasci il porto. Vittoria: ma di che? La Zim Virginia batte bandiera israeliana, però non trasporta armi, a bordo non ha nemmeno una cartuccia per i Tavor X95: non è mai successo prima, perché prendersela con dei lavoratori solo in virtù del fatto che sono stipendiati da una compagnia che ha sede ad Haifa? È la stortura dell’antisemitismo palestinista, a furia di cavalcare l’ondata propal c’è chi rischia persino di rimanerci scottato.

Ne se qualcosa la(fallimentare) campagna elettorale del campo largo per Gaza nelle Marche, ma ne sa qualcosa anche il sindaco di Reggio Emilia, un altro piddino, Marco Massari, che prima (nelle scorse settimane) ha annunciato urbi et orbi di voler omaggiare col Primo tricolore la special rapporteur dell’Onu Francesca Albanese, poi l’ha invitata a una serata per la consegna del premio al teatro Valli, ma infine è scivolato sul 7 ottobre (ha addirittura detto: «Credo che la fine del genocidio e la liberazione degli ostaggi siano condizioni necessarie per avviare un processo di pace»). È stato sommerso dai fischi, come-osa-ricordare-i-rapiti, dalle reazioni di Albanese (mani sugli occhi, risolini) e dalla sua chiosa: «Non bisogna giustificare i terroristi di Hamas, ma capirli. La Storia si ricorderà che sono riusciti a portare la Palestina al centro della discussione, stanno animando una rivoluzione globale».

Altro giro, a Torino, nelle ultime ore. Gli studenti ebrei e israeliani iscritti a Medicina (ma non solo) sono invitati a sloggiare dalle aule: vengono contattati da profili social falsi come una moneta da tre euro, vengono intimiditi, vengono bombardati di messaggi dal tono «gli ebrei sono come i cani», «completiamo il lavoro di Hitler», «Israele non ha diritto a esistere», alcuni di loro hanno già rinunciato a seguire le lezioni in presenza. Probabilmente la regia di tutto è, come ipotizza l’inchiesta di Quarta repubblica che solleva il caso, di alcuni collettivi universitari, ma l’Ugei, l’Unione dei giovani ebrei d’Italia, è ovviamente preoccupatissima e rivendica «il diritto di studiare in sicurezza».

È cominciata coi “sì però” subito dopo il 7 ottobre («la carneficina di Hamas sì però l’occupazione israeliana», «il pogrom dei tagliagole sì ma l’apartheid dei sionisti»), è esplosa coi salotti progressisti che la pace la chiedono solo a Gerusalemme e non sanno guardare oltre gli slogan si è consolidata con le sfilate del mondo del cinema (al Lido), col vittimismo woke (la Flotilla), con la moda del momento (o sei propal o non esisti): il risultato è una situazione fuori controllo che, checchè vorrebbero le piazze per Gaza, tocca tutti, non solo gli ebrei.

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