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Il sindaco Pisapia ci sta prendendo per il cono

Mario Giordano

Milano vieta il gelato dopo mezzanotte. Poi fa retromarcia. Ma è già scattata la prima multa

Andrea Tempestini
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di Mario Giordano E dopo il divieto di mangiare un gelato a mezzanotte, che altro s'inventeranno a Milano? Il divieto di cantare sotto la doccia al mattino? O quello di abbracciare la fidanzata nella pausa pranzo? O quello di sorridere fra le 16.30 e le 18? Dopo il coprifuoco del cono al pistacchio che cosa vorranno imporre? Il coprifuoco della merenda? La denutellizzazione del centro storico? Il proibizionismo dello zucchero filato? Poco importa se  il sindaco Pisapia tenta affannosamente una mezza marcia indietro all'insegna del «libero gelato in libero Stato»: intanto perché la prima multa al gelataio è già stata rifilata sabato notte, a dimostrazione del fatto che la lotta contro il cono cioccolato-stracciatella è roba seria. E poi perché anche la riforma, se pure si riuscisse a vararla tra mille ostacoli tecnici, sposterebbe l'orario della proibizione da mezzanotte all'una. Ci vuol la faccia al gusto di marron glacé per dire che cambia davvero qualcosa. A questo punto, infatti, già tremiamo all'idea dei prossimi interventi «tranquillizzanti» da Palazzo Marino: milanesi,  non preoccupatevi non è vero che  d'ora in avanti sarà vietato mangiare il risotto a  mezzogiorno (è vietato solo alle 13.30). Oppure: milanesi,  non preoccupatevi, quell'ordinanza che prevede il divieto di respirare dalle 14 alle 14.30 è solo frutto di una cattiva interpretazione, perché in realtà l'assessore intendeva dire altro (e cioè che il divieto di respirare è fissato dalle 15 alle 15.30). Per carità, siamo consapevoli la divietomania  non è un problema soltanto milanese. La storia recente dei Comuni italiani è piena di proibizioni più o meno assurde, da Venezia che dice no al free jazz a Ferrara che punisce il lancio di palle di neve, da Campobello di Licata (Agrigento) che mette al bando i calciobalilla a Saluggia (Vercelli) che sanziona il lancio di chicchi di riso sugli sposi. Tanto che gli inglesi ci hanno già bollato con il loro solito sarcasmo: «Quando una cosa è divertente, il Belpaese ha una legge per proibirla», ha scritto poco tempo fa l'Independent. E non aveva ancora considerato la crociata contro il fragola-limone… A Milano,  in effetti, si sta proprio esagerando.  La metropoli che una volta aveva il cuore in mano, adesso ha in mano solo un cilicio. In effetti questa è diventata la capitale della cupezza, la centrale mondiale del «non si può», una specie di monumento urbano alla tristezza. La rivoluzione arancione s'è risolta in una realtà grigio topo, dove c'è un divieto buono per ogni cosa, dalla salsiccia alla pizza da asporto, passando per birre, aranciate, kebab, musica e suoni. La gente in strada? Disturba. La gente ai chioschi? Disturba. La gente che mangia? Disturba. Alla fine si ha quasi l'impressione che a disturbare sia proprio la gente in sé, qualsiasi cosa faccia. A meno che per «gente» non si intenda un delinquente con un piccone in mano, qualche disagiato sociale ladro o spacciatore, che quelli si sa, nell'era Pisapia godono sempre di una speciale protezione. La gente normale, invece no. Soprattutto se fa acquisti. Ecco: quelli che comprano danno proprio fastidio al sindaco di Milano. Ma si capisce: come osano questi milanesi, con tutta la crisi che c'è, ad andare a fare shopping? O persino  a mangiare un gelato? E per di più  a mezzanotte? Perché non se ne stanno a casa? In generale:  come osano avvicinarsi a un negozio? Sembra che  Pisapia abbia l'ossessione dei negozi. Secondo me è convinto che siano tutti da chiudere, per principio, probabilmente li considera il peggio della suburra, li confonde con i postriboli del malaffare. Non li può sopportare. Mai s'era visto, in effetti, un amministratore tanto pervicacemente ostile alle attività commerciali della sua città: prima l'Area C, poi le domeniche a piedi, poi il taglio delle luminaria a Natale, poi i divieti assurdi… Dopo la multa al gelataio per aver venduto gelati, ci manca solo l'ordinanza che punisce con l'arresto chiunque osi avvicinarsi a una serranda aperta, e poi il quadro sarebbe completo. Vi rendete conto? Milano era la città più europea d'Italia, un bazar a cielo aperto, la porta spalancata per chiunque avesse una buona idea o voglia di fare.  Sotto la guida del rivoluzionario arancio-cupo si sta ripiegando su stessa, sta diventando sempre più mesta, avviluppata in mille  divieti che l'uno dopo l'altro si trasformano in proibizione a fare, a creare, a produrre, a intraprendere. Forse a vivere. Perché, in effetti, se  davvero si pensa a vietare il gelato a mezzanotte e la pizza al trancio, se davvero si pensa che gli assembramenti di gente siano solo un fastidio e non anche flusso di vitalità, ebbene vuol dire che si sta pensando a una città senza futuro. E fa sorridere pensare che siano proprio loro, quelli che sognavano la rivoluzione, l'irriverenza  e la fantasia al potere, che adesso diventano ottusi becchini di ogni frammento di esistenza. Pronti a difendere sempre e soltanto la quiete pubblica, senza accorgersi che sta diventando, per Milano, quiete eterna.

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