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Andrea Purgatori, cos'è successo lo scorso 8 giugno: il dettaglio decisivo?

Melania Rizzoli
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Sono giorni difficili per i familiari di Andrea Purgatori, straziati dal dolore per la perdita prematura del loro caro, ma ancora di più per la convinzione acquisita che non sia stato fatto tutto il possibile per salvare il giornalista e per il tremendo sospetto che le cure alle quali fu sottoposto non furono adeguate, se non sbagliate.

Una vicenda molto intricata e tormentata, affidata oggi alla Procura di Roma, che ha sequestrato esami, cartelle cliniche e salma del paziente per accertare se il percorso terapeutico scelto ed applicato a Purgatori sia stato corretto ed esente da gravi errori diagnostici o di valutazione.

La cosa che ha colpito di più i familiari, gli amici e l’opinione pubblica è stata la disputa tra il radiologo Gianfranco Gualdi, che per primo, il 9 maggio, rivelò al giornalista la presenza di un tumore del polmone in fase avanzata, con la nefasta diffusione di metastasi cerebrali, evidenziate nel corso di una Tac Totalbody al quale lo aveva sottoposto, e il prof Alessandro Bozzao, ordinario di neuroradiologia alla Sapienza, il quale, in una valutazione radiografica richiesta dal giornalista a un mese di distanza, dopo essere stato sottoposto, dal 14 maggio, a radioterapia ad alto dosaggio sul cervello, ha negato l’esistenza delle stesse, affermando addirittura che le metastasi non c’erano mai state, e che le immagini rilevate alla Tac cerebrale indicavano la presenza di alcune piccole e non preoccupanti zone ischemiche.

IL COMA IMPROVVISO
In casi come questi è praticamente impossibile ipotizzare chi, tra i due, abbia ragione senza prendere visione degli esami clinici e strumentali effettuati, ma altrettanto ragionevolmente si può affermare che qualcosa non è proprio andato per il verso giusto, visto che il paziente, che ha sempre continuato a lavorare durante le cure ed era in condizioni discrete, è entrato in coma improvvisamente e da quel che si capisce poi è prematuramente morto.

 

La iniziale diagnosi del prof Gualdi è stata messa in discussione anche dai medici dell’Humanitas di Rozzano, ai quali Purgatori si era rivolto, quando, iniziando ad avere qualche dubbio sugli esiti dei trattamenti radiologici subìti ritenne opportuno richiedere un ulteriore parere, ed anche in questa struttura i radiologi, dopo gli esami specifici, sostennero solo la presenza di ischemie diffuse nel cervello senza evidenza di metastasi.

Il mondo medico è giustamente sconcertato nel leggere le notizie riportate dai quotidiani, soprattutto perché ci si chiede come sia possibile firmare un referto pesante come quello della presenza di ripetizioni del tumore diffuse nel cervello da parte di un medico molto esperto, per essere smentito il mese dopo da un altro stimato professionista che nega pubblicamente la progressione di malattia ed afferma che la diagnosi iniziale fu sbagliata, e che di conseguenza la terapia radiante effettuata sull’intero encefalo abbia fatto precipitare il paziente verso il baratro.

 

Conosco personalmente il prof Gianfranco Gualdi, nella capitale considerato una assoluta autorità nel campo della “diagnostica per immagini”, al punto di essere, dal 1981, consulente per il Vaticano ed aver seguito per anni Papa Wojtyla, e che oggi ricopre la carica di direttore scientifico dell’Istituto di Medicina e di Radiologia d’urgenza del policlinico universitario Umberto I di Roma, e mi resta difficile immaginare che lui abbia visto e confermato radiologicamente delle metastasi inesistenti, come mi resta ancora più difficile credere che la radioterapia effettuata sul cervello del paziente le abbia fatte regredire in due settimane fino a farle scomparire, o addirittura ridurle a piccole lesioni ischemiche, quelle confermate dal neuroradiologo Bozzao. L’esame accurato e comparato delle immagini delle lastre e delle analisi dirimerà ogni dubbio, che tra qualche mese sarà verità, purtroppo a paziente non più in vita.

La cosa certa è che Andrea Purgatori il 6 giugno, nonostante le pesanti terapie, era in piedi e lavorava, è stato audito in Senato dalla Commissione d’inchiesta su Emanuela Orlandi, era lucido e preciso, senza alcun disturbo neurologico evidente. Il giorno dopo è stato in Calabria a ritirare un premio dalla Confartigianato e l’8 giugno era sul palco dell’Auditorium di Roma a presentare un libro con il regista Enrico Vanzina. Quindi nulla a che vedere con un malato grave, neurologico o terminale.

Le foto degli eventi lo ritraggono stanco e provato, con i capelli diradati dalla radioterapia, ma presente ed attivo, e gli amici con cui si confidava lo ricordano consapevole della sua situazione oncologica, ma altrettanto speranzoso di iniziare la nuova cura immunologica che gli era stata prospettata. Le sue condizioni però precipitano l’8 luglio, quando viene portato in ambulanza al policlinico Umberto I dove viene sottoposto ad una nuova Tac (senza contrasto) che, ironia della sorte, non evidenzia alcuna neoplasia polmonare, bensì una patologia definita “carcinosi dell’encefalo”, ovvero una malattia tumorale che aveva raggiunto le meningi, e di conseguenza causato il coma improvviso e irreversibile che aveva richiesto il ricovero urgente, fino a portare il paziente al decesso, senza aver mai ripreso conoscenza, il 19 luglio.

LA MAGISTRATURA
Alla luce di tutti questi referti contrastanti tra loro, e per nulla chiari clinicamente né radiologicamente, almeno come sono stati riportati dalle cronache, la famiglia si è rivolta alla magistratura per chiedere chiarezza, per sapere se le terapie applicate al loro congiunto siano state corrette, o al contrario ne abbiano accelerato il decesso in un paziente debilitato dalla radioterapia, con le difese immunologiche crollate, causa a quanto pare dell’infezione letale al cuore (pericardite settica) che lo ha fermato per sempre. 

In casi come questi lo stesso scontro tra professionisti della medicina non fa di certo onore alla categoria, ma soprattutto quello che è più triste e sconfortante in questa disgraziata vicenda è immaginare il tragico pellegrinare di un amico, di un paziente, fragile psicologicamente e provato moralmente dopo che gli è stata comunicata una diagnosi terribile, che ad ogni controllo radiologico viene informato su dissensi e dubbi diagnostici e su possibili e clamorosi errori di valutazione, e di conseguenza terapeutici, per cui viene gettato nello smarrimento e nello sconcerto personale, e soprattutto nella impossibilità di credere ad alcuno degli specialisti ai quali si era affidato per curarsi e forse guarire da una grave malattia che c’era o forse non è mai esistita. 

Andrea Purgatori era un grande giornalista sempre alla ricerca della verità assoluta in tutti i molteplici casi di cronaca giudiziaria nazionale dei quali si è occupato, che ha affrontato ed approfondito sempre senza ideologie di sorta, e merita, per la sua storia e la sua dignità, che venga fatta luce sulla pratica sanitaria scelta per lui dai vari medici, professori e scienziati di fama, sulla effettiva causa della sua morte, che ha lasciato un vuoto incolmabile non solo in chi gli voleva bene, ma nell’intero giornalismo italiano.

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