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Carlo Calenda: "Elly Schlein? Ecco che fine farà fare al Pd"

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Pietro Senaldi
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«A me piace Bud Spencer, perché è simpatico ma mena».

Perché, mi scusi, lei sarebbe simpatico?
«Non è questo il punto. Io preferisco la serietà, anche se vedo che la politica ormai è una sorta di Grande Fratello, dove spesso la gente sembra non guardare più alle competenze ma vota in base alla simpatia. Colpa della mancanza del senso d’appartenenza, gli italiani non vivono lo Stato come una cosa loro e sono convinti che nulla cambi, indipendentemente da chi votano».

All’immagine però un po’ ci tiene anche lei, la vedo dimagrito. Merito dell’armocromista?
«Ho perso 15 chili perché me lo ha imposto il dottore a causa di un intervento programmato. Ma appena lo risolvo mi sono ripromesso di riprenderli tutti. La cura dell’immagine è la fine della politica. E se ingrasserò un po’ non sarà un dramma».

Non sarà la consulente dei colori il peccato di Elly Schlein...
«Io credo che il suo peccato sia rappresentare quel filone della sinistra che non entra mai nel merito delle questioni perché teme di scontentare qualcuno e perciò si limita a evocare principi e ingaggiare battaglie ideologiche partendo dall’assunto che è sempre nel giusto».

I sondaggi le danno ragione.
«Io penso invece che alla lunga questa politica porti ad asciugare l’elettorato. Sembra un po’ l’omelia della domenica, e poi andate in pace e chi si è visto si è visto. Ma così finisci per perdere la cultura di governo. Militarizzare l’elettorato a fronte di risultati che possono non essere quelli sperati non è la mia ricetta».

Il suo ex alleato, nonché ex capo del Pd, Matteo Renzi, ha provato a far qualcosa...
«Anche cose molto giuste, come la riforma costituzionale. Il problema è che le persone poi ti valutano pure dai comportamenti...».

Un po’ equivoci?
«Renzi è molto intelligente e l’intelligenza ti porta a fare cose grandi e importanti. La furbizia invece nuoce soprattutto a chi la possiede».

Vi siete separati perché lo ritiene più furbo di lei?
«Assolutamente no. Non siamo mai stati amici ma non mi riuscirà a farmi parlare male di Renzi. Abbiamo obiettivi diversi. Io ho un percorso netto che mi porta a cercare di prendere consenso per cambiare l’Italia. Lui immaginava un cartello elettorale che consentisse a ciascuno di farsi i fatti propri anche dopo il voto. Ha preso la direzione del Riformista sostenendo che fosse un passo indietro ma poi ha ridimensionato il ruolo che Rosato e Bonetti avevano nella federazione malgrado lavorassimo benissimo insieme, come con tanta gente di Italia Viva, per rimettersi in gioco direttamente. Non capisco né mi adeguo...».

Sta lanciando un’opa?
«Assolutamente no, io non vado a cercare nessuno. La scorsa legislatura eravamo solo in tre. Mi interessa creare una classe dirigente, bravi amministratori».

Io, più che alla teoria dei due galli nel pollaio, credo che il divorzio fosse nel dna delle nozze d’interesse perché Renzi non è più di sinistra e non guarda più a sinistra mentre lei viene da lì e culturalmente, ideologicamente e sotto l’aspetto relazionale da lì non si schioda...
«Non è vero. Guardiamo ai fatti della vita. Ho candidato Carfagna e Gelmini. Io ho la mia storia ma non sono di sinistra, ho un approccio pragmatico, liberaldemocratico se vogliamo definirlo. Sono un repubblicano. E poi destra e sinistra sono categorie antiche, il problema è lavorare su come rimettere a posto i pezzi del Paese non battezzare le cose».

 

 

 

Carlo Calenda vuole ribellarsi a quella che giudica «una condanna sbagliata», ossia la sentenza che lo inchioda sempre all’emisfero sinistro e che, nei fatti, gli impedisce si sfondare nella parte destra dell’emiciclo, dove forse proprio Renzi avrebbe più possibilità di lui. «Alle elezioni abbiamo preso due milioni e 400mila voti ai quali rispondere», si spiega, «e solo un terzo viene da sinistra. Gli altri, in parti uguali, dal centrodestra e dalla delusione astensionista. Non ho mai attaccato la Meloni in maniera pretestuosa, come sta facendo il Pd, che va in piazza perfino contro il codice degli appalti e dimostra volontà distruttiva senza reale spirito critico; anzi, l’ho difesa nello scontro con Macron sull’immigrazione e anche su questo decreto lavoro, per la parte in cui sono d’accordo. Mi sforzo di essere oggettivo. La contesto sul blocco navale che non ha fatto ma sono altrettanto netto sul controllo dei confini». Il leader e fondatore di Azione è consapevole di essere all’inizio del percorso che la fondatrice di Fratelli d’Italia ha iniziato nel dicembre 2012. «Ma io ci sto mettendo meno tempo», precisa a conferma che non gli appartengono né modestia né superstizione. «Alla premier però riconosco il pregio della resilienza e il coraggio politico. Poi, momento di riflessione e presa di coscienza, «mi auguro in questi quattro anni e mezzo di avere una crescita come quella che Fdi ha avuto all’opposizione. Ci metterei la firma». Certo, con Pier Luigi Bersani, suo contraltare abituale negli scontri televisivi sulle future sorti progressive dell’Italia, non riesce a essere sferzante come con gli altri. Sarà quell’aria di sinistra che sa di famiglia che lui nega, - «ma ha visto il mio intervento al congresso della Cgil, più duro di quello della Meloni» -, specificando che «è stato un buon ministro, ma adesso vederlo lì a difendere le posizioni di chi non vuole i termovalorizzatori... insomma, è proprio un vecchio modo di fare politica».

 

 

 

Calenda, la Meloni forse farà il partito conservatore...
«Sarebbe un bene, se diventasse conservatore nel senso europeo del termine».

Con la Schlein che regala il Pd alla Cgil, chi fa un partito di sinistra riformista, lei o Renzi; o un terzo incomodo?
«Noi vogliamo costruire il partito liberal-democratico, quello che equivale a Renew, il gruppo parlamentare nel quale siamo a Bruxelles».

Macron ha avuto successo in Francia perché gli elettori temevano l’avvento della donna in nero. La presidenza Meloni però ha fugato queste paure in Italia. Perché un moderato liberale dovrebbe votare lei, che pochi anni fa si è pur sempre candidato sotto le insegne del Pd, e non il partito dei conservatori?

«Perché io sono molto più liberale di questo centrodestra, che alla fine, da Alitalia ai balneari, è profondamente statalista».

Il punto è che gli italiani non sono liberali...

«Non direi che non sono liberali ma che solo talvolta scoprono i vantaggi del liberalismo, specie quando vengono fatte le liberalizzazioni».

Come concilia il fatto di essere liberale con il suo europeismo in un’Unione Europea sempre più ideologica e dirigista?

«Rispetto alle aspettative di un vero europeista la Ue è da sempre piuttosto deludente. Ci è indispensabile per l’export e perché ci consente una stabilità finanziaria che non avremmo. Però riconosco che, per esempio sul piano ambientale, segue una politica dissennata. E non mi riferisco solo all’obiettivo, irrealistico, di raggiungere zero emissioni che mi ricorda la promessa grillina di abolire la povertà con il reddito di cittadinanza, alla quale è seguita un’impennata dei poveri».

La maggioranza Ursula sta alla Ue come la trimurti Conte, Di Maio e Toninelli stava all’Italia?

«Diciamo che sta costruendo un meccanismo per il quale le aziende, costrette a spostarsi fuori dal Continente, finiranno per inquinare di più il pianeta».

Bisogna dire che il Pd è caduto mani e piedi nel fosso...

«Infatti non ho capito la politica di Enrico Letta, che qualcosa di economia la sa».

Deve servire gli interessi delle grandi potenze, politiche ed economiche?

«Non credo alla teoria del complotto e dei poteri forti. Mi rassicurerebbe sapere che ci sono intelligenze strategiche dietro le ultime mosse dell’Unione. In realtà il Pd sta assecondando la campagna elettorale del suo vicepresidente, l’olandese Timmermans, che vuol garantirsi un futuro politico vendendo il miraggio verde. Ma a Bruxelles c’è grande battaglia su questi temi».

Dopo le Europee del 2024, se a Bruxelles cambierà la maggioranza, il progetto delle emissioni zero abortirà grazie anche alla Meloni?

«L’Europa è un gran casino, un pezzo di tedeschi e di francesi sono già contro le politiche ultra-ambientaliste che la von der Layen ha sposato per un certo opportunismo. Del resto, tutti hanno le loro contraddizioni, compresa la Meloni con i suoi alleati dell’Est sul tema immigrazione. Io penso che anche nella Commissione Ue i problemi si risolveranno quando si inizierà a mettere persone competenti». 

 

 

 

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