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Spalletti, un momento delicato: cosa sta succedendo al Napoli

Claudio Savelli
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Dottor Luciano e mister Spalletti, le due anime di un uomo tutt’altro che solo al comando del Napoli ma che, chissà perché, un po’ pensa di esserlo. Alla prima anima, serena e affabile, è di recente subentrata la seconda, nervosa e scorbutica, senza che ce ne fosse bisogno né motivo. Il Napoli infatti ha lo scudetto in tasca e praticamente zero possibilità di perderlo: le squadre così tranquille a nove giornate dal verdetto si contano sulle dita di una mano nell’intera storia del calcio. Potrebbe dovrebbe - vivere il finale di stagione come una gioiosa passerella verso la gloria, approcciando con questo spirito leggero anche alla Champions, competizione che non ha l’obbligo di vincere (i quarti sono già uno storico traguardo per il club) e che è sicura di giocare anche il prossimo anno. Dottor Luciano, consapevole di entrare nella storia del Napoli dove tendenzialmente si resta immortali, sarebbe felice di vivere un contesto simile: sai che sorrisi, battute e allegri discorsi sul gioco della squadra. Ma il dottor, allegro uomo di campagna che prende la vita (professionale) come un dono, è stato chiuso a chiave in cantina da mister Spalletti, tormentato professionista che non si accontenta e, quindi, non gode.

 

 

 


A Il post-partita dell’andata dei quarti di Champions con Di Canio a Sky è stata l’ultima manifestazione dell’alter ego: ad una considerazione corretta e lineare (Anguissa e Kim sono stati ingenui nel farsi ammonire: espulso il primo, diffidato il secondo, salteranno il ritorno), il mister ha risposto che «anche Leao andava ammonito per quel calcio alla bandierina» ché «altrimenti mostriamo ai bambini di tutto il mondo che si possono rompere le cose». Vero, il portoghese andava sanzionato e il mancato giallo evidenzia una partita mal gestita dall’arbitro Kovacs, ma anche chi-se-ne-frega: se il Napoli non la butta mai sulla riffa in campo, perché deve farlo al di fuori? Di più: il Napoli che è diventato fortissimo badando solo a se stesso, al suo gioco e ai suoi schemi, perché dovrebbe curarsi di ciò che fanno gli altri? Il mister difende i suoi giocatori ma, in questo modo, ottiene un effetto contrario: disconosce l’identità su cui lui stesso ha costruito la squadra.
Il pensare solo a sé, al proprio orticello da cui spuntano primizie.

 

 

 

La prima manifestazione di mister Spalletti è stata il diverbio con Paolo Maldini. Che ci può anche stare, ma poi è meglio non dare modo ai media di parlarne così a lungo, chiudendo la questione istantaneamente. È indicativo che sia coincidente al primo di tre duelli ad alta tensione con il Milan, ma anche a quello meno importante per il Napoli. La capolista si era guadagnata il lusso di disinteressarsi della sfida e del ko, di esserne “superiore”, di ignorare l’evento, invece così facendo ne ha sottolineato l’importanza e si è trascinata le scorie nel primo round di Champions. Dove, non a caso, Anguissa e Kim sono stati poco lucidi e hanno rimediato i cartellini di cui sopra per i quali salteranno il ritorno di martedì, e dove la squadra, nonostante un’ottima prestazione, ne è uscita sconfitta. Perché la fortuna premia gli audaci e il Napoli in questo momento non lo è più di tanto perché il mister è entrato in questo stato di tensione perenne. È vero che per Spalletti questo livello è una prima volta in carriera e che l’avvicinarsi del suo primo scudetto porta eccitazione e emozioni mai gestite prima, ma è anche evidente che, dall’alto dei suoi 64 anni, il mister abbia la cassetta degli attrezzi giusta per questo momento. È solo da aprire e usare. Al Luciano-carota è subentrato lo Spalletti-bastone anche nei confronti del pubblico in piena diatriba con De Laurentiis. In questo caso, il tecnico ha ragione nel dire che non ha senso vedere una tifoseria battagliare con il presidente per questioni “personali” e rinunciare al supporto: «Stiamo vincendo il campionato dopo 33 anni d’attesa, non riesco a capire questo tutti contro tutti.

 

 

 


«LASCIO TUTTO»

Se al ritorno succederà la stessa cosa, lascerò la panchina e andrò a casa. Perché è inspiegabile». La maggioranza dei tifosi, quella che dieci giorni fa fischiava gli ultrà, sono con l’allenatore, ma il tifo organizzato non ci sente e rovina il clima attorno alla squadra. La quale sta mostrando il suo unico difetto: essere emotivamente acerba e quindi strettamente dipendente dalle lune del suo creatore, ovvero Spalletti. Il mister deve ricordarsi di non avere gli occhi addosso solo da fuori, ma anche e soprattutto da dentro. Quelli dei suoi calciatori, che lo stimano e lo ritengono, a ragione, un modello. È ancora in tempo per richiamare il dottor Luciano, godersi lo scudetto (mancano 4 vittorie e domani arriva il Verona) e provare a ribaltare il quarto di Champions. 

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