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Noragugume, nove ammazzati nel paesino sardo: cosa c'è dietro la lunga scia di sangue, orrore in Sardegna

Giordano Tedoldi
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Ci sono luoghi in Italia in cui il tempo è fermo, dove non vigono le leggi della civiltà ma quelle delle prime comunità umane. Lì, quello che per noi è il presente, le sue norme, la scansione frenetica delle giornate nel lavoro digitale, le connessioni globali, i grattacieli e i mezzi di trasporto ecologici, quando non è un miraggio, è una scorza che nasconde l'arcaico, il primordiale. Uno di questi luoghi, che farebbe la gioia di antropologi seri, qualora ancora ce ne siano (del livello di Ernesto de Martino, ad esempio), si trova nel cuore della Sardegna, ed è un paesino di nemmeno trecento abitanti, Noragugume, in provincia di Nuoro. Questo paese, sebbene scarsamente popolato, non è privo di una sua esteriore forma di governo, quindi ha una sindaca, Rita Zaru, una giunta e un consiglio comunali, eccetera. Ma con tutto il rispetto dovuto alle istituzioni, queste rappresentano solo la maschera del paese, non il volto.

 

 

 

Catena di uccisioni

Il volto di Noragugume si è mostrato, di nuovo, quando nella serata di giovedì - non era ancora buio - è stato ritrovato, fuori dal suo podere che costeggia la strada provinciale, il cadavere di un uomo di 67 anni, Luigi Cherchi, noto in paese come Gigi. Il corpo del misero allevatore, che aveva appena qualche mucca e alcuni cavalli, era a pochi metri dalla sua auto, e nei pressi i carabinieri hanno trovato un fucile. Il riconoscimento sarà stato immediato perché, come ha lasciato capire anche Rita Zaru, la sindaca, Cherchi era ovviamente noto a tutti nel piccolo paese, e per motivi molto importanti: «Era un uomo abbastanza ritirato e una persona mite, credo che stesse andando di rado in campagna, lo si vedeva poco in giro. Spero che i responsabili vengano identificati al più presto perché questa catena si interrompa». La sindaca, prima ancora che le indagini della competente procura di Oristano entrino nel vivo, parla già di «catena». Non è precipitazione la sua, sa bene di che si tratta quando parla di «catena che si deve interrompere». Alla parola "catena", già evocativamente primordiale, bisogna aggiungerne un'altra non meno suggestivamente barbarica: "faida". Infatti in paese tutti sanno che Gigi Cherchi non è che l'ultima vittima di una faida tra famiglie cominciata più di vent' anni fa, nel 1998, quando vennero ammazzati due fratelli di Luigi Cherchi, Giuseppe e Salvatore, a distanza di due mesi fra loro. Ne scaturì una catena, per l'appunto, di vendette tra i membri delle famiglie in conflitto, da un lato i Cherchi, gli Spada e i Nieddu; dall'altro i Corda, gli Argiolas, i Pinna, i Marongiu e i Falchi. In due anni caddero otto uomini (almeno), da una parte e dell'altra; altri due tentativi di omicidio andarono a vuoto per un soffio. La giustizia intervenne e irrogò varie condanne (e tre assoluzioni) tra le quali quattro ergastoli: uno dei condannati, Giulio Cherchi, fratello di Luigi, condannato all'ergastolo per aver assassinato un membro della famiglia Corda, Francesco di 38 anni, famiglia ritenuta a sua volta responsabile dei primi omicidi contro i Cherchi, si diede alla latitanza per sei anni; inserito nella classifica dei cento latitanti più ricercati in Italia, venne infine catturato nel 2009 e morì in carcere scontando la pena.

 

 

 

Il tempo fermo

Ma oltre al conto dei morti, ciò che impressiona, in questa catena, è che per più di vent' anni sia rimasta in letargo. Apparentemente placata, tra omicidi, condanne, latitanze. Ma davvero qualcuno, a Noragugume, si era illuso che fosse finita? In silenzio, anno dopo anno, la brace sotto la cenere ardeva ancora, l'odio si accumulava, represso, pronto a sfogarsi di nuovo. Un odio - e anche questo è caratteristico di queste società dove il tempo è ancora quello dei primordi - che pare avere origine in fatterelli, piccoli screzi legati a questioni di terreni, coltivazioni e allevamenti, e cresciuto nel tempo a smisurata mattanza tragica: all'inizio uccisioni di cani, attacchi dinamitardi, fienili a cui veniva appiccato fuoco, greggi decimate, cavalli uccisi a cui veniva mozzata la testa e croci con le iniziali di nomi trovate sui portoni delle case, e poi per l'appunto la catena di delitti. Con un esordio anch' esso tipico: il fucile caricato a pallettoni, con il quale il 12 giugno 1998, dentro al suo bar, venne ucciso Giuseppe Cherchi, 58 anni. I carabinieri di Dualchi, un paese vicino Noragugume, vennero avvertiti di questo primo delitto da una telefonata anonima. Alla morte del primo Cherchi seguì due mesi dopo la morte del secondo, il fratello Salvatore, dopodiché la vendetta abbatté due Corda, Francesco e il vecchio padre Tommaso Maria. Se si sostituisce Cefalù a Noragugume, sembra di leggere le pagine di un romanzo di Sciascia o di vedere un film di Petri tratto da un suo libro. Ma, ad esempio, "A ciascuno il suo", sia il libro che il film, escono alla metà degli anni Sessanta. Quasi sessant'anni dopo, le dinamiche delittuose, i comportamenti criminali, gli automatismi della vendetta sono invariati. Il tempo, l'abbiamo detto, è fermo, in certe zone d'Italia. 

 

 

 

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