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Che vergogna l'assenza del Comune ai funerali di Cervi

Nicoletta Orlandi Posti
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Forse Mario Cervi, ultimo baluardo di un giornalismo ormai inesistente in natura, con quel suo sorriso immenso alla Fernandel, ne avrebbe -montanellianamente- fatto un vanto. Eppure, il fatto che ieri, alle sue esequie mattiniere alla chiesa di San Gioachimo, vi fossero tutti i rappresentati della società civile, lettori commossi, giornalisti d'ogni risma ma nessun rappresentante del Comune di Milano, be', la dice lunga sull'ideologismo che travalica anche la morte ben oltre i confini del cattivo gusto. Oddio, magari qualche assessore, qualche consigliere, qualche sindaco (no, Pisapia no), qualche politico c'era. Ma se c'era, era defilato, nascosto, tra la folla, «a titolo personale»; magari riconoscendo un intimo omaggio al giornalista e al conservatore d'acciaio che da sempre aveva affidato la sua penna all'onestà intellettuale e all'imprescindibile rispetto dell'avversario politico. Non un intervento, un gonfalone, una prece pubblica. L'idea che Cervi, l'ultimo dei grandi, avesse buttato sangue e inchiostro per la città a cui doveva la sua luminosa carriera non ha nemmeno sfiorato Palazzo Marino. Cervi al Corriere della sera, alla Voce, al Giorno e soprattutto al Giornale fu consustanziale a una città che amava visceralmente almeno quanto il compare Montanelli. Qualcuno, sottovoce, ricorda che quando l'uomo ritirò l'Ambrogino dalla mani del sindaco Pisapia per il quarantennale proprio del Giornale, il grande vecchio commentò: «Ci riempie di gioia, ma nonostante l'Ambrogino non faremo sconti...». E, in effetti, Cervi, di sconti non ne ha mai fatti a nessuno, in perfetta simmetria con la propria coscienza. Sia nei grandi reportage in giro per il mondo, sia negli editoriali affilati con cui era in grado di persuadere qualsiasi interlocutore, sia nei commenti di costume come l'ultimo (che poi fu anche l'ultimo pezzo firmato) del 29 luglio scorso, in occasione del singolare caso di una Festa dell'Unità organizzata -dal Pd- nei giardini intitolati a Indro Montanelli. Roberto Maroni, ha detto che «la Lombardia e tutto il Paese perdono un uomo di grande umanità e un professionista serio e innovativo», lanciando così il cremasco più milanese di tutti verso un Ambrogino postumo. Si è sempre in tempo per rimediare... di Francesco Specchia

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